Proviamo a gettare uno sguardo, curioso e sommario, nel Medioevo di quel territorio immenso e fertile che costituisce l’odierna Ucraina
“Stranger in Paradise” era una canzone piuttosto nota negli anni 60/70 e la si udiva spesso alla radio e alla televisione. A me piaceva, era molto orecchiabile e la ascoltavo volentieri. Sapevo che si trattava di un brano del 1953, composto da R. Wrigt e G. Forrest per il musical KISMET su melodia tratta dall’opera lirica IL PRINCIPE IGOR di Aleksandr Porfir’evic Borodin. Le mie conoscenze, però, finivano lì e non potevo certo immaginare che prima o poi qualche circostanza mi avrebbe riportato a quella musica dolcissima. Invece, i tragici avvenimenti che sono attualmente in corso nell’est d’Europa hanno fornito le condizioni affinché mi riaffiorasse alla mente il ricordo, ormai sedimentato, di quel pezzo. (In apertura: di Ігор Святославович – UAHistory la battaglia Battaglia del fiume Kajaly )
Di fronte alla guerra attualmente in atto in Ucraina, che occupa giornalmente le cronache di questi ultimi mesi, si rimane attoniti e disorientati per l’evidente impotenza che ci pervade a causa della violenza, della devastazione e del dolore che essa trascina con sé. D’altra parte, la constatazione che quella terra lontana costituisca da sempre un luogo di instabilità e turbolenze, un crogiolo di popoli e di etnie stratificate nei secoli, un terreno di passaggio per genti migranti, un appetibile territorio di invasione e una sede di continue e forti tensioni economiche, politiche e militari, non ci conforta per nulla! Infatti, senza andare troppo lontano dai nostri tempi, come si potrebbero dimenticare le drammatiche vicende che solo nei due secoli scorsi hanno riguardato l’Ucraina?
Odessa, tra Europa ed Asia
L’Holodomor del 1933 –successivamente classificato tra i crimini contro l’umanità– ne è un palese esempio. In aggiunta, come si potrebbe lasciar cadere nell’oblio quanto successe nella splendida città di Odessa? Patria accogliente e amata per chiunque vi giungesse, porto cosmopolita per genti di ogni dove, perla del mar Nero, luogo di transito di popoli e culture tra Europa ed Asia, ancora oggi essa ricorda l’eccidio che si consumò nei confronti dei suoi cittadini nell’ottobre del 1941, quando migliaia di civili inermi, sopratutto ebrei, furono massacrati e le case depredate e distrutte.
“Ah, Odessa mama!”, diceva molto tempo prima della seconda guerra mondiale una nostalgica canzone popolare Yiddish; mentre già nel 1898 un napoletano là residente le dedicava con trasporto l’intramontabile ” ‘O sole mio”..
La storia insegna che il carico dei diversi interessi, pratici ed economici, che sorgono in un Paese a causa dell’avvicendarsi di popoli, etnie, tradizioni, culture, religioni, è sempre motivo di gravi tensioni, forti turbolenze e sanguinose guerre. A queste situazioni però generalmente si alternano tempi di relativa tranquillità, di ricostruzione e di pace, più o meno duraturi.
Proviamo allora a gettare uno sguardo, curioso e sommario, nel Medioevo di quel territorio immenso e fertile che costituisce l’odierna Ucraina, perché proprio intorno al 1000 cominciò a delinearsi la complessa situazione culturale, economica e politica che ancora oggi contraddistingue e caratterizza quel Paese..
Nel Medioevo quella vasta area geografica, percorsa da grandi fiumi e priva di rilievi, era suddivisa fra diversi clan tribali slavi che costituivano Principati indipendenti : Halicz o Galizia; Volinia o Vladimir Volinskji; Černigov; Velikij Novgorod; Kiev e Perejaslav (pare che questi ultimi due, intorno al 1054 abbiano usato per primi il nome “Ucraina” per indicare il territorio di loro pertinenza, che marcava il confine tra la cultura occidentale e quella orientale).
Antica indipendenza
Le varie città situate nei Principati erano pertanto politicamente indipendenti l’una dall’altra e ognuna al centro di un territorio ben definito e circoscritto. Molto spesso i Principati si facevano guerra tra loro, soprattutto per motivi di strategia territoriale legata al commercio e agli scambi delle merci, che avvenivano per lo più tra il mar Baltico e il mar Nero. L’avorio delle zanne del tricheco, la sua carne, il suo grasso che era usato per produrre l’olio da illuminazione, la sua pelle utile per rivestire le tende e le imbarcazioni, il miele, la cera, le pellicce e naturalmente gli schiavi, costituivano gran parte delle ricchezze da commerciare.
Secondo la “Cronaca degli anni passati”, che è la più antica cronaca della Rus’ di Kiev (compilata intorno al 1113 dal monaco Nestore di Kiev), per consolidare la propria supremazia sugli altri centri, la città di Velikij Novgorod, situata sulle sponde del lago Il ‘Men’ (a nord di Mosca, che in quei tempi era ancora un minuscolo villaggio), nell’anno 862 chiese aiuto al popolo nordico dei Variaghi : «Il nostro Paese è grande e ricco, ma non vi è alcun ordine. Venite dunque in nostro aiuto e regnate su di noi come principi».
I Variaghi (Vichinghi e Svedesi) erano mercanti, mercenari, guerrieri e abili marinai che provenivano dalla penisola scandinava. Il loro nome derivava dall’antico “roðs” o roths, usato in ambito nautico con il significato de “gli uomini che remano”. In effetti, in quegli anni il fondamentale modo di viaggiare di quelle genti era remare lungo i fiumi dell’Europa orientale, con lo scopo di raggiungere il mar Caspio, Bisanzio e la Persia, con i quali commerciavano. Ciò non stupisce se si considera l’estensione delle foreste, delle pianure alluvionali e delle praterie steppose di quei tempi, oltre all’inesistenza di altre vie di comunicazione più agevolmente praticabili.
Tra Variaghi e Cumani
I Variaghi, dopo aver aiutato Novgorod a sconfiggere le altre città, si stabilirono sui nuovi territori e, assimilatisi definitivamente alla popolazione slava locale, fondarono un loro proprio Stato nell’alto corso del fiume Dnepr : la Rus’ di Kiev.
Tuttavia, la pace che caratterizzò circa due secoli dopo la cristianizzazione della popolazione a opera Vladimir I di Kiev (c.d. Il Santo) non durò a lungo, perché verso quella terra premevano numerose tribù, Turche e Tatare, provenienti dalle steppe asiatiche!
I Cumani, anche chiamati “Polovezi”, erano una popolazione turca di nomadi uralo-altaici. Dalle loro sedi asiatiche essi si spinsero verso occidente raggiungendo le fertili pianure sarmatiche intorno al 950, e si stanziarono nel basso corso dei fiumi Volga, Don, Donec, Dnepr (quindi nella fertile zona a nord est del Mar d’Azov), fino in Crimea. Naturalmente questo comportò la sottrazione di terre e commerci ai Principati russi, ai quali imponevano pesanti dazi per il transito delle merci e nei confronti dei quali usavano effettuare continue e feroci scorrerie, in particolare nelle pianure attorno a Kiev e lungo le sponde dei fiumi Donec e Don, che fungevano da confine tra i territori turcofoni e slavi.
È chiaro che la situazione, caratterizzata da frequenti incursioni e sanguinose vendette tra le opposte popolazioni, prima o poi avrebbe raggiunto l’esasperazione. I reiterati saccheggi, l’impossibilità di navigare lungo il corso dei fiumi senza incorrere in violenti assalti di pirateria, l’incertezza della vita intorno ai territori di confine, spinsero nella primavera del 1185 alcuni Principati russi, con a capo il granduca Igor’ Svjatoslavič, a organizzare una spedizione di guerra verso l’attuale regione di Poltava, in territorio Cumano. L’inesistenza di unità politica tra i vari Principati, però, implicò che alcuni di essi non aderissero alla campagna contro i Polovesi; tale circostanza, unitamente alla mossa strategica del Principe Igor di penetrare troppo profondamente in territorio nemico, tagliando così all’esercito la possibilità di ricevere rinforzi e rifornimenti in tempo utile, provocarono la sconfitta degli slavi/russi nella battaglia del 5 e 6 maggio del 1185 sul Kajaly.
Il fiume Kajaly (non molto distante da Azov) è un affluente di destra del Don dalle sponde scoscese e dalle acque torrentizie e impetuose che si erano ulteriormente ingrossate in seguito alle forti piogge verificatesi nei giorni precedenti alla battaglia. In quei flutti turbinosi annegò gran parte della fanteria russa mentre tentava di guadare il fiume; il resto dei soldati, giunto sulla riva opposta e bersagliato dalle lance e dai dardi della cavalleria cumana, fu circondato dai nemici e massacrato. I pochi superstiti vennero fatti prigionieri insieme ai loro Principi e trascinati nel campo di internamento Cumano.
La definitiva chiusura dello scontro tra le parti si ebbe, però, l’anno successivo, nel 1186, con il matrimonio di Vladimir, figlio del granduca russo Igor Svjatoslavic, con Konchakovna, la giovane figlia del Gran Khan cumano Kan’cak.
Cessato quel terribile e sanguinoso conflitto, le povere lande martoriate da anni di guerra videro finalmente un periodo di relativa pace.
Purtroppo, intorno al 1230 un’altra popolazione, quella dei Mongoli, si apprestava a invadere la regione, portando ancora una volta sconvolgimento e devastazione.
Ma questo evento è materia per un’altra storia.
La battaglia di Kajaly
Torniamo dunque alla disfatta del fiume Kajaly, che costituisce l’oggetto del nostro interesse.
La battaglia del fiume Kajaly del 1185 fu celebrata nel poema epico slavo del XII secolo “Canto della schiera di Igor”, dal quale trasse ispirazione il musicista russo Aleksandr Borodin per la composizione della celebre opera lirica a sfondo storico IL PRINCIPE IGOR.
Nato a San Pietroburgo nel 1833, Aleksandr Porfir’evic Borodin iniziò a suonare molto presto il pianoforte, il flauto ed il violoncello; tuttavia il suo impegno principale fu il lavoro di professore di Chimica organica presso l’Università della città, anche se la passione per la musica occupò tutti i suoi momenti liberi. Nel 1864 entrò a far parte del famoso “Gruppo dei cinque” costituito da musicisti che si erano posti lo scopo di elaborare e definire uno stile musicale nazionale, squisitamente e autenticamente russo, rivalutando le tradizionali melodie popolari e contadine della loro terra, in contrapposizione alla musica operistica accademica e colta di importazione, quali l’italiana, la francese e la tedesca, che fino ad allora avevano dominato nei teatri di tutta Europa, tra la nobiltà e alla corte degli Zar. ( E’ opportuno qui ricordare che dopo la sconfitta dell’impero russo nella guerra di Crimea del 1856, lo zar Alessandro II abolì la servitù della gleba e aprì moderatamente ad altre riforme. In seguito a ciò, negli ambienti intellettuali si accese un ampio conflitto tra coloro che desideravano riforme di stampo occidentale e coloro che vi si opponevano, in nome delle specificità slave della civiltà russa).
Borodin impiegò quasi 18 anni per la composizione de “Il Prncipe Igor” a causa della sua impegnativa attività universitaria, e morì nel 1887 lasciando il lavoro incompiuto e frammentario; tuttavia, quanto aveva composto era palesemente caratterizzato da una vena lirica che valorizzava in maggior misura il canto, rispetto allo stile recitativo: “ Io sono attratto dal canto. Lo stile puramente recitativo non mi è mai andato a genio” ebbe a scrivere in una sua lettera.
Furono Nikolai Rimsky-Korsakov e Alexander Glazunov ad assumersi l’onere di riordinare, completare e orchestrare l’intera opera lirica, che venne eseguita per la prima volta a San Pietroburgo nel Novembre 1890.
Il principe Igor
Conclusa questa introduzione, è arrivato il momento di avventurarmi a considerare brevemente
“Il principe Igor”. Non possedendo specifiche competenze in materia, mi faranno ala una necessaria cautela e un pizzico di timore, insieme alla consapevolezza di essere guidata unicamente dal piacere che mi suscita la musica, dalla curiosità nell’osservazione degli strumenti, dal diletto che genera l’udire il loro suono.
L’opera lirica IL PRINCIPE IGOR si articola in un prologo e quattro atti.
L’azione inizia a svolgersi sulla piazza della cattedrale di Putivil’ dalla quale parte il Knjaz Igor Svjatoslavic con le sue truppe, per intraprendere la campagna di guerra contro le tribù Cumane/Polovesi e i loro Khan. Il popolo di Putivil’ canta in coro “Gloria al bel sole”, “Gloria alla moltitudine delle stelle”, riferendosi al Principe Igor e alle sue schiere. E’ il mese di maggio 1185.
Nel frattempo si verifica un’eclissi solare e Jaroslavna, moglie di Igor, considerando il fenomeno di cattivo presagio, lo supplica di non partire. Il Principe, però, non si lascia turbare e le risponde che il suo onore esige che lui combatta per difendere i suoi territori ed il suo popolo dai terribili Cumani.
Le Danze Polovesiane
Successivamente, l’ambientazione dell’opera si trasferisce nell’accampamento dei Polovesiani, dove si trovano internati i prigionieri russi catturati dopo la sconfitta sul Kajaly. Qui si svolgono le famose DANZE POLOVESIANE che, attuate con lo scopo di celebrare e festeggiare la vittoria dei Cumani sugli slavi/russi, vengono cortesemente offerte dal Gran Khan Kan’cak ai nobili prigionieri per intrattenerli ed omaggiarli.
Le danze sono accompagnate dal canto di un coro, come quello di Konchakovna con le fanciulle polovesiane, le quali cantano l’amore, che simile a un fiore muore allo svanire della luce del giorno; o come quello delle schiave polovesiane, che intonano con struggente nostalgia “Vola via sulle ali del vento, alla nostra Patria, nostro caro canto…”.
Le Danze Polovesiane sono collocate alla fine del secondo atto dell’opera lirica e costituite da :
- una prima danza delle ragazze ricca di grazia, sulla base di una malinconica melodia intonata dai soprani con sostegno del dolce suono dei flauti, di quello leggero dell’oboe e del timbro morbido dell’arpa. A essi rispondono i contralti, che aprono ai violini e violoncelli.
- una seconda danza “selvaggia” e vigorosa degli uomini su musica energica e molto ritmata, dove le note grintose e suadenti dei clarinetti, insieme ai flauti e al corno inglese, introducono tutta l’orchestra in un crescendo cadenzato dal sussultante e trainante tintinnio del tamburello.
- una comunitaria terza danza impetuosa, su un brano esplosivo ed elettrizzante che rammenta quasi una frenetica cavalcata. La musica, cadenzata dal rullo deciso dei timpani e dal suono grosso della grancassa, si apre al coinvolgimento del coro al completo e di tutta l’orchestra, la cui euforia, scandita dalla vibrazione dei piatti, si spegne lentamente sulle note dell’arpa.
- una quarta danza dei ragazzi, che iniziata con l’accompagnamento dei violini e col “pizzico” dei violoncelli diviene veloce e turbinosa sul ritmo incalzante del tamburo, di tutta l’orchestra e del coro delle voci maschili.
- e ancora, una danza delle ragazze riproposta insieme alla danza veloce dei ragazzi. In essa, alla celebre melodia della prima danza, cantata dai soprani accompagnati dal penetrante suono dell’oboe, dal pizzico magico dell’arpa e dalle note profonde dei violoncelli, segue un crescendo esplosivo, gioioso ed esuberante, sostenuto dalle ritmiche percussioni del tamburo, dai flauti, dalle note brillanti delle trombe e da quelle acute e metalliche del triangolo.
- e così via.., fino alla conclusione finale, dove una danza generale estremamente eccitante e vivace si fa trasportare da un brano trionfale e marcatamente orientaleggiante che, valorizzato e amplificato dal coro al completo, esalta, travolge e trascina.
Il quarto atto dell’opera conclude l’azione nel medesimo luogo in cui è iniziata. A Putivil, ormai saccheggiata e distrutta dai vincitori Polovesi, la moglie di Igor, Jaroslavna, osserva mestamente la città devastata dai saccheggi dei nemici e piange per la lontananza del marito e la sconfitta del suo esercito. Ma ecco che in lontananza intravede alcuni cavalieri avvicinarsi alle mura, tra essi riconosce il principe Igor che, fuggito dalla sua prigione in campo Cumano, sta tornando in patria.
Per il Knjaz Igor, per Jaroslavna e per tutto il popolo, è giunto finalmente il momento della festa.
La gioia prende il sopravvento sull’umiliazione e sul dolore. Insieme alla gioia, tornano l’ottimismo e la speranza per un nuovo inizio e una ricostruzione. Senza dubbio si potrà ancora vincere!
La struttura dell’opera
Chiudiamo ora questo succinto excursus su IL PRINCIPE IGOR con una breve considerazione : nell’opera lirica il Coro occupa senz’altro un posto molto importante. Esso rappresenta il Popolo, ossia i contadini e la gente comune, nei suoi vari aspetti legati alle circostanze : fiducioso, esaltato, eccitato, euforico, schiavo, mesto, umiliato, trionfante.
Il Popolo, qualunque sia, polovese, slavo o russo, è il coprotagonista insieme ad Igor dell’opera di Borodin. Esso costituisce l’humus dal quale si erano originate le melodie tradizionali e antiche, di gusto spiccatamente orientale, sulla base delle quali il musicista compose la sua opera, nella ricerca di uno stile e di un sentimento nazionale.
A questo punto, non resta che assistere all’esecuzione de Il Principe Igor, dove musica, danza e canto confluiscono in una attraente e suggestiva scenografia di carattere squisitamente folkloristico.
Nel frattempo si può gustare l’ascolto dell’aria più nota della composizione, quella cantata dal coro delle schiave nelle danze polovesi, che ha costituito la melodia di “Stranger in Paradise”.
“Vola sulle ali del vento…
alla terra natia, nostro amato canto,
là dove abbiamo inneggiato alla libertà,
dove ci siamo sentiti così liberi nel cantarti.
Là, sotto il cielo caldo,
l’aria è piena di felicità,
lì al suono del mare
le montagne sonnecchiano tra le nuvole;
là il sole splende così luminoso,
inondando di luce le montagne native,
splendide rose sbocciano nelle valli,
e gli usignoli cantano nelle verdi foreste,
e l’uva dolce cresce.
Sii libera, canzone
Vola verso casa”
Testo e riflessioni di Maria Silvana Spiniello
View Comments (1)
Articolo stupendo!! Grazie