Dal Kurdistan a Lesvos, il lavoro di una giovane operatrice legale, per i richiedenti asilo di Afghanistan e Siria

Eléna Santioli (nella foto a fianco) ritorna a raccontare a Grey Panthers le sue esperienze all’estero, come operatrice sul campo in progetti di assistenza legale a favore dei richiedenti asilo. L’abbiamo conosciuta durante la sua prima esperienza  (nella foto qui sotto il campo di Bardarash, Kurdistan iracheno) , l’abbiamo seguita nelle sue esperienze personali e nei disagi affrontati, e la ritroviamo quest’anno nelle isole del Mar Egeo. Ma ascoltiamo direttamente dalle sue parole il racconto.

Campo di Bardarash – Kurdistan Region of Iraq

” Dopo la mia esperienza in Iraq come responsabile dei progetti, è stata la volta di Samos, una piccola isola greca del Mar Egeo situata proprio davanti alla costa turca. Lì ho contribuito in qualità di esperta legale/ operatrice sul campo a un progetto di assistenza legale in favore dei richiedenti asilo che sbarcano sull’isola e che possono poi richiedere protezione.

La richiesta di protezione internazionale è una procedura estremamente complessa ed è fondata su precisi criteri stabiliti per legge. Al suo esito – talvolta dopo anni – tale procedura può dar diritto allo statuto di rifugiato, alla protezione sussidiaria, oppure – nella maggior parte dei casi – a niente, là dove la richiesta venga rifiutata sia in prima istanza sia in appello.

A Samos ascoltavo quotidianamente storie di uomini, donne e minori non accompagnati per lo più scappati dal loro Paese di origine perché in grave pericolo. Spesso si tratta di persone provenienti da Paesi in guerra oppure perseguitate a causa della loro religione, etnia, opinione politica od orientamento sessuale.

La maggior parte di loro provengono da Siria, Afghanistan, Congo. Più della metà sono donne e bambini. Tutti hanno storie di gravissimi traumi alle spalle. Tali traumi coincidono talvolta con le ragioni della loro fuga (ho avuto, ad esempio, il caso di una ragazzina orfana scappata da un matrimonio forzato dopo aver subito per anni abusi di ogni tipo, tra cui la mutilazione dei genitali femminili) oppure può trattarsi di traumi che si sono prodotti dopo la fuga, lungo la tratta migratoria.

In assenza di una migrazione legale e regolamentata, la condizione di queste persone diventa ipso facto irregolare ed esse sono di conseguenza costrette ad affidare la propria vita e quella dei loro cari a – il più delle volte – spietati trafficanti di esseri umani che fanno di loro oggetti di scambio (per esempio offerta di passaggio contro pagamento di denaro), o – peggio ancora – oggetti di guadagno (come sfruttamento sessuale, lavorativo, vendita di organi).

Una volta arrivati in quella che loro considerano la ‘terra dei diritti’, sono costretti a vivere in condizioni oggettivamente disumane durante l’intera durata della procedura di asilo politico – che è troppo lunga, in ragione dei ritardi da parte delle autorità greche. Tende auto-costruite in mezzo al fango, non isolate, bucate, servizi igienico-sanitari inaccessibili, cibo visibilmente avariato, accesso inadeguato all’assistenza medica, tra le altre cose.

Quello che a me preme rievocare è che queste persone, che sono indubbiamente disperate al punto da decidere di abbandonare per sempre il loro Paese, percorrere per mesi o anni pericolose tratte migratorie e salire infine su un barcone che “chissà se arriverà”, sono esattamente come noi.

Hanno avuto nel loro Paese nonne, zii, nipoti, case con letti, salotti e cucine. Si incontravano con amici e parenti, e avevano come tutti tanti sogni nel cassetto. Sono persone provate, ma non certo prive di quella dignità che non merita di sottostare a condizioni di vita miserabili. Ai bambini piace giocare con i pupazzi di pezza e alle loro mamme piace vedere i figli contenti. I più anziani, invece, camminando, hanno bisogno di appoggiarsi a un bastone. Tanti i giovani, alcuni timidi, altri più estroversi. Tanti tentano il suicidio, tutti sono esausti.

Mentre le politiche migratorie vengono adottate e spesso le disposizioni relative violate, queste persone necessitano di assistenza.

Il giorno dopo la fine della mia missione a Samos ho mandato la mia candidatura per ricoprire il ruolo di coordinatrice per un progetto di assistenza legale a Lesvos (Lesbo), un’altra isola di impietosi arrivi situata nel Mar Egeo. Sono stata selezionata e ho cominciato lunedì il mio nuovo lavoro. Sarà lavoro duro, ma vorrei che tutti i richiedenti asilo potessero un giorno avere la fortuna che fino ad ora non hanno avuto.

Il campo di Vathy, a Samos

 

di Eléna Santioli

“Da sempre interessata da quelli che io considero «terremoti umanitari», ho conseguito una doppia laurea in Giurisprudenza italiana e francese e un Master avanzato in Diritto Internazionale, e prodotto una tesi sulla Lotta contro la Tratta dei Minori nel diritto internazionale. A Parigi, insieme ad altri studenti della Sorbona, ho fondato l’associazione Réfugiés Bienvenue, e sono in seguito stata nominata Segretaria Generale della Delegazione parigina di Terre des Hommes France (TDHF). In Senegal, ho effettuato uno stage per la Divisione Assistenza ai Migranti (MAD) presso l’Ufficio Regionale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) di Dakar. Infine, ho lavorato presso la sede di Parigi di Première Urgence Internationale (PUI), prima di essere selezionata come Grants Officer per la missione di PUI in Iraq. Ho lavorato a Samos, Grecia, collaborando a un progetto di Avocats Sans Frontières (ASF) France mirato a fornire assistenza legale gratuita ai richiedenti asilo sull’isola. Ora mi trovo da qualche giorno a Lesvos.

redazione grey-panthers:
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