È il titolo di un libro di Elsa Morante che mi torna alla mente oggi che assisto con stupore e gratitudine al coraggio e alla determinazione di Greta nel suo tentativo di salvare il mondo, ma che mi affaccio anche con orrore alla ferocia dei ragazzi di Manduria su un inerme e fragile anziano. E in questo mio incespicare nelle contraddizioni del nostro mondo mi imbatto un film che forse ci può dire qualcosa. Il titolo è “Poetry”, recuperato dopo tanti anni. Perché, con un gruppo di “ragazze” di buona volontà abbiamo iniziato qualche tempo fa – attraverso un accordo con i veri ragazzi e ragazze del “Cinemino” di via Seneca di Milano – a utilizzare la domenica mattina per un ciclo di film sulla vecchiaia perché spesso il film parlano con più verità e immediatezza delle tristezze, delle felicità, delle perdite e dei guadagni di questa età a cui ci stiamo avvicinando e che ci appare spesso come una terra sconosciuta. E’ un film del 2010 del regista coreano Lee Chang Dong, premiato al Festival di Cannes per la migliore sceneggiatura. Non è naturalmente in programmazione nelle sale, ma vi invito caldamente a ricercalo su internet perché può parlarvi.
La protagonista è Mija, una vecchia signora di quasi 70 anni, che fa la badante part-time, convive con un nipote adolescente, e scopre di avere i primi sintomi di Alzheimer che si manifestano con vistosi buchi di memoria. La vecchia signora ama la bellezza, ama i graziosi cappellini, ama la poesia, ama la natura. Sembra concentrata solo su di sé, sul suo mondo, sulla sua ricerca, ma un avvenimento tragico e inatteso la indurrà a interrogarsi sulla realtà.
È un film difficile da raccontare in cui la trasmissione del fascino del film non passa attraverso l’evocabilità del racconto, ma segue la protagonista nel suo vagabondare incerto e nella relazione con il nipote, atono, negativo, stravaccato davanti alla televisione, privo di rimorsi anche quando emerge che è stato coinvolto in una vicenda odiosa che ha portato al suicidio una ragazzina. Ma Mija, che ha per caso incontrato la disperazione della madre della ragazza, non può sottrarsi dall’interrogarsi su quello che le appare un omicidio e sulle sue conseguenze. Mija è colta dal regista nella violenta contraddizione tra il suo aspirare alla bellezza del mondo e l’essere costretta ad accettare la durezza che può presentare la vita.
Mentre i genitori degli altri ragazzi coinvolti cercano di comprare il silenzio della madre della vittima – ed è una critica forte a una società malata quale quella coreana che pensa di poter aggiustare tutto con il denaro – Mija si ribella prendendo una decisione contro corrente e di coerenza interiore, pagando anche un prezzo altissimo sul piano dei sentimenti familiari e della sua stessa vita perché decide di contrapporre quello che le appare come un dovere etico alla vigliaccheria del denaro e arriva a denunciare il nipote e a consegnarlo alla polizia perché paghi il suo debito verso la società. E questo nonostante l’età e la fragilità della malattia.
E solo allora i due mondi separati – della poesia e della vita – si ricongiungono e le consentiranno di scrivere la sua poesia, la sua prima e ultima poesia.
Poetry è un film poetico e duro nello stesso tempo, un film che invita alla concentrazione, all’intelligenza, alla pazienza, mettendo a fuoco la complessità della vita e la contraddittorietà dell’esistente. E ci invita a soffermarci sulle nostre responsabilità e sul rapporto tra la nostra sensibilità e quella dei ragazzi, dei nostri figli, dei nostri nipoti.
Il mondo salvato dai nonni?
SCELTI PER VOI