Il mondo degli Over 50 è cresciuto per importanza, per dimensione e per peso oggettivo nella società contemporanea. Ma vi sono aspetti legati alle esigenze e alle aspettative di partecipazione degli ultracinquantenni che sono difficili da leggere e da interpretare, perché escono dagli schemi tradizionali di percezione dell’anziano. E’ per questo che dieci anni fa l’associazione 50&Più ha ideato, promosso e organizzato “Gold Age”: un evento che si propone come luogo d’elezione per tutti coloro che del mondo anziano sono interlocutori o rappresentanti e intendono riconoscere la doppia realtà dell’anziano: quella ancora dinamica e vitale (la maggioranza) e quella debole e fragile (la minoranza), su cui bisogna investire in assistenza. Quest’anno, “Gold Age” sarà organizzato al Palacongressi di Rimini dal 19 al 23 ottobre. Per l’occasione, è stato intervistato il Presidente Cenisis, Giuseppe de Rita, che interverrà alla manifestazione il 20 ottobre. Di seguito un breve riassunto dell’intervista.
“La salvezza dell’Italia? Mettere insieme”
L’ultimo Rapporto Censis ha ripreso il concetto di società italiana immersa nella mucillagine. Con Gold Age 2011, 50&Più afferma che la riscoperta della virtù, dell’impegno personale al massimo grado, può farci emergere da questa poltiglia. Lei cosa ne pensa?
Siamo una società in cui i singolo fili, i singoli elementi, non si integrano tra loro. Il rapporto solidale, di collegamento, o banalmente di relazione non si attua. Quindi siamo una società mucillagine perché non abbiamo relazione, perché viviamo ognuno per conto proprio e quindi siamo destinati, pensando che comunque ognuno di noi se la cava, alla poltiglia. La poltiglia è il risultato del rifiuto dell’integrazione con l’altro.
Per uscire da questo stato di mucillagine, quale può essere il ruolo delle istituzioni, della politica, dei corpi intermedi?
L’unica strada da seguire per uscire da questa condizione è quella di mettere insieme. Questo è lo sforzo maggiore che devono fare le organizzazioni sociali, le organizzazioni di volontariato, i sindacati, le associazioni di categoria,la Chiesa, tutti e dico tutti, devono mettere insieme. La capacità di mettere insieme la possiamo trovare nel piccolo dove è più facile impegnarsi per un obiettivo comune, ma quando parliamo di organizzazioni di grandi dimensioni, la tentazione è la dichiarazione a effetto del leader, la grande chiamata in causa, il grande convegno, ma il mettere insieme è quello che manca.
Ma la politica e le Istituzioni non possono «mettere insieme»?
Sarebbe il loro compito precipuo. Ma non lo fanno, anzi dividono, disarticolano. Basti pensare al partito. Una volta il partito aveva questa dimensione del mettere insieme. Oggi, in pratica, un partito non è capace di mettere insieme niente, c’è la dichiarazione del leader e i sotto leader fanno dichiarazioni incrociate, ma non si capisce se stanno insieme o no.
Se dovesse indicare tre cose che funzionano in questo Paese, quali indicherebbe?
E’ difficile pensare che ci siano cose talmente ben organizzate da dire che funzionino. Alcune zone di tecnocrazia o di azienda funzionano. Funziona benela Bancad’Italia, ma è anche vero che questa negli ultimi 10 anni – con l’arrivo dell’euro – ha dimezzato le sue responsabilità, quindi funziona, ma su una sfera di responsabilità limitata. Parte delle chiese locali funzionano. Mala Chiesaitaliana funziona? Le centinaia di vescovi,la Cei, funziona in un modo tale da essere significativa e definitiva? No, forse no. Ritengo che le cose che funzionano in Italia possiamo trovarle a livello micro. Mentre invece se dovessi dire cosa funziona a livello macro, direi lo Stato certamente no, la politica certamente no, perché c’è una incapacità italiana di ragionare sulle grandi cose. Quindi tre cose che funzionano bene in Italia è difficile trovarle.
Qual è la vera malattia di questo Paese?
In questi ultimi anni abbiamo esplicitato la nostra soggettività fino alla nausea e oggi non ci basta più. Questa è la vera malattia. C’è questa specie di stanchezza collettiva, questa mancanza di fiducia; e questa specie di disfacimento della voglia di impegnarsi deriva dal fatto che tutto quello che volevamo individualmente lo abbiamo ottenuto e adesso, magari, dobbiamo difenderlo dall’inflazione o dalla patrimoniale, mentre invece le cose che servivano a tutti non le abbiamo fatte.
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