Gli approfondimenti dell’Ispi: un Nobel per la Pace contro gli armamenti nucleari

(From L) Nuclear disarmament group ICAN coordinator Daniel Hogstan, executive director Beatrice Fihn and her husband Will Fihn Ramsay pose with a banner bearing the group's logo after ICAN won the Nobel Peace Prize for its decade-long campaign to rid the world of the atomic bomb as nuclear-fuelled crises swirl over North Korea and Iran, on October 6, 2017 in Geneva. With the nuclear threat at its most acute in decades, the International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, which on October 6 won the Nobel Peace Prize, is urgently pressing to consign the bomb to history. / AFP PHOTO / Fabrice COFFRINI (Photo credit should read FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images)

Il Premio Nobel per la Pace 2017 è stato assegnato alla Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), una coalizione di organizzazioni non governative di oltre cento Paesi del mondo impegnate nell’abolizione delle armi nucleari. L’assegnazione del riconoscimento istituito da Alfred Nobel e conferito per la prima volta nel 1901 è stata annunciata oggi alle 11 a Oslo dai membri del Comitato per il Nobel scelto dal Parlamento norvegese. La portavoce del Comitato ha spiegato che, in un momento di crescenti tensioni intorno alla crisi nordcoreana, e con l’accordo sul Nucleare iraniano in bilico, il premio intende riportare in cima all’agenda della comunità internazionale la necessità di abolire le armi nucleari. La motivazione è chiara: “L’ICAN è stata premiata per il suo lavoro nel portare l’attenzione sulle conseguenze umanitarie catastrofiche di qualsiasi uso delle armi nucleari e per i suoi sforzi fondamentali per ottenere un trattato che metta al bando queste armi”.

Un chiaro messaggio (e non solo a Kim Jong–un)

La scelta del Comitato per il Nobel di assegnare il premio all’ICAN rappresenta un messaggio chiaro alla comunità internazionale nel momento in cui sul mondo incombe la minaccia di una crisi nucleare, quella provocata dalla Corea del Nord. Il monito, dunque, sembra essere rivolto ancora una volta a coloro che cercano soluzioni “muscolari” alle crisi, invitandoli piuttosto a prediligere la via diplomatica del negoziato. Infatti, oltre al chiaro riferimento alle tensioni intorno al programma nucleare e missilistico nordcoreano, l’assegnazione del premio di quest’anno potrebbe essere anche un implicito sostegno alla via diplomatica e multilaterale che ha permesso la risoluzione pacifica della crisi sul nucleare dell’Iran, attraverso il raggiungimento del Joint Comprehensive Plan of Action(JCPOA) nel luglio 2015. L’accordo è stato infatti la prima, e a oggi anche l’unica, volta che un Paese soggetto alle procedure previste dal Capitolo VII della Carta della Nazioni Unite (Minacce alla pace) abbia risolto la sua controversia internazionale attraverso la diplomazia e non spinto dall’uso della forza secondo quanto previsto dalla piena applicazione dello stesso Capitolo. Proprio in questi giorni, l’accordo sul nuvleare iraniano è sottoposto alla sua prova più difficile: entro il 15 ottobre, il presidente Trump dovrà infatti rinnovare il sostegno dell’amministrazione statunitense all’accordo, tutt’altro che scontato considerando la forte ostilità del presidente americano nei confronti dell’Iran. Lo scorso luglio, proprio grazie all’impegno dell’ICAN, la Conferenza delle Nazioni Unite ha approvato il Trattato sul divieto delle armi nucleari, raggiunto dopo negoziati durati quattro settimane a cui hanno partecipato le delegazioni provenienti da circa 140 paesi e dalla società civile. Il Trattato, poi adottato con il voto favorevole di 122 stati, un voto contrario (Paesi Bassi) e un astenuto (Singapore) è il primo accordo internazionale legalmente vincolante per la completa proibizione delle armi nucleari. Se infatti negli scorsi decenni la comunità internazionale ha sancito divieti contro le armi biologiche e chimiche, contro le mine antiuomo e contro le bombe a grappolo, le armi nucleari no erano prima ancora state oggetto di un trattato vincolante per gli Stati che vi avessero aderito.

Abolizione delle armi di distruzione di massa: appelli non sempre ascoltati

La portavoce del Comitato per il Nobel norvegese, Berit Reiss–Andersen, ha affermato con chiarezza che l’auspicio dei giurati nell’assegnazione del premio di quest’anno è quello di dare un sostegno efficace alla campagna internazionale per la proibizione delle armi nucleari, “in un mondo in cui il rischio di un conflitto nucleare torna dopo molti anni a essere molto alto”. Non è la prima volta che il Comitato di Oslo sceglie di assegnare il più alto riconoscimento per la pace a una campagna o a un’organizzazione impegnata nell’abolizione di armi di distruzione di massa. Il caso più recente è quello del Nobel per la pace assegnato all’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW) nel 2013, nel pieno dispiegarsi della guerra civile siriana in cui il regime di Bashar al Assad è stato più volte accusato di avere impiegato armi chimiche contro la popolazione civile. Tuttavia, l’innegabile importanza e tempestività di questo riconoscimento non solo non è stata sufficiente a scongiurare la produzione e l’utilizzo di armi chimiche in altri contesti di crisi, ma neanche nella stessa Siria, dove nell’aprile di quest’anno è stato perpetrato l’ennesimo bombardamento chimico di una zona occupata da gruppi armati ma abitata da civili – Khan Shaykhun, nel governorato di Idlib – a opera dell’aviazione siriana. In precedenza, un Nobel per la Pace con un simile intento era stato conferito, nel 1997, alla Campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo (ICBL), negli anni appena successivi alla crisi dell’ex Yugoslavia. Successivamente, nel 2005, il Nobel per la Pace è stato assegnato anche all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica,  insieme all’allora direttore Mohamed el Baradei, per la “prevenzione dell’uso militare dell’energia nucleare”.

Il Premio Nobel per la Pace, le edizioni più contestate

Nei 116 anni di storia del Nobel per la Pace, sono numerosi i suoi vincitori al centro di controversie, accusati di non meritare l’onore di questo riconoscimento. Tra di essi per esempio: Aung San Suu Kyi (premio 1991), dissidente, leader della National League for Democracy e oggi Presidente del Myanmar, al centro di molte polemiche anche a livello internazionale per la crisi della minoranza Rohingya nel suo paese; Barack Obama (premio 2009), per il quale l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace, poco dopo il suo primo insediamento alla Casa Bianca, è stata ritenuta troppo precoce; il Leader palestinese Yasser Arafat, il Primo ministro israeilano Yitzhak Rabin e il ministro degli Esteri Shimon Peres (premio 1994), per gli Accordi di Oslo. La decisione fu criticata, non solo perché gli accordi non hanno portato a una soluzione del conflitto Israelo–Palestinese, ma per lo stesso Arafat, da molti considerato leader di una organizzazione terroristica, incluso uno dei giurati del Comitato del Nobel che si dimise; Henry Kissinger (premio 1973), allora segretario di stato USA insieme al nordvietnamita Le Duc Tho (che declinò) per il cessate il fuoco nella guerra del Vietnam. Fioccarono le critiche, perché Kissinger fu accusato di aver ordinato il bombardamento di Hanoi proprio durante le negoziazioni del cessate il fuoco. Negli anni, sono state anche molto criticate le assegnazioni “mancate”. Il caso più celebre fu quello del Mahatma Gandhi, a cui non fu mai assegnato il Premio Nobel per la Pace. Sembra fosse stato candidato per ben 5 volte, ma il punto di vista “euro–centrico” del comitato in quegli anni non diede la necessaria importanza alla lotta per la libertà delle Colonie all’epoca. L’ex direttore dell’Istituto per il Nobel (Geir Lundestad) la ritenne la più grande omissione nella storia del premio

Fonte: ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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