Inizia da questo mese una serie di brevi articoli sulla fotografia.
Di cosa ci occuperemo
Fotografare significa innanzitutto vedere. Vedere e fotografare hanno in comune la luce.
Rimbalza come una palla da biliardo quando incontra uno specchio: si direbbe che è una particella. Ma si scompone in tutti i suoi colori quando incontra gocce d’umidità nel cielo, regalandoci un arcobaleno. E’ quindi anche qualcos’altro.
In una fotocamera questi fenomeni hanno un’importanza anche pratica: aiuteranno nella scelta della fotocamera e degli obiettivi e guideranno a usarli correttamente.
Prima ancora di fotografare, si diceva, si vede: ci occuperemo del nostro occhio e delle lenti.
Vedremo che molto di quanto si dirà sul nostro occhio si applica a una fotocamera: anzi, che una fotocamera è una versione semplificata di un occhio e che, mentre l’occhio ha una sola lente, il cristallino, un obiettivo ne ha molte.
Insomma, man mano che parleremo di fotografia parleremo anche di ottica: e se ne vedranno (è il caso di dire) delle belle.
La luce
Tre secoli fa la luce era un insieme di particelle di tutti i colori possibili. Si propaga seguendo linee rette, si riflette su uno specchio, come una biglia sulla sponda del biliardo: i colori dell’arcobaleno erano spiegati come la separazione di queste particelle, ciascuna del suo colore.
Ad esempio lo specchio di una fotocamera, posto davanti al sensore, e ciascuna faccia del pentaprisma si comportano in questo modo.
Con un salto all’oggi la luce è spiegata come una onda elettromagnetica, al pari di quelle di una radio (“onde corte”, “lunghe”), di un forno a microonde o dei raggi ultravioletti o di quelle causate da un sasso in uno stagno.
Con alcune onde possiamo ascoltare musica, con altre scaldare alimenti, con altre abbronzarci. Con altre ancora possiamo vedere: dipende solo dalla distanza tra due punti minimi, o tra due massimi.
La “lunghezza d’onda”
Se si lancia un sasso nell’acqua si formeranno onde: la differenza con la luce è che queste onde avranno la forma di cerchi, la luce del sole di tante linee rette. Ma in entrambe i casi avranno un punto minimo e un massimo: quelli che indicano la “lunghezza d’onda”.
Tutte le onde possono essere rappresentate in base alla loro lunghezza d’onda: eccone un esempio, nel quale si può notare anche la lunghezza d’onda visibile e un paragone rispetto alle dimensioni oggetti cui siamo abituati. XX3 (Grafico su onde)
Quindi la luce è sia una particella sia un’onda: vedremo come questo sia importante in fotografia quando si parlerà di aberrazioni e del filtro polarizzatore.
Abbiamo accennato ai colori: cosa sono?
Possiamo vedere la luce, ma non possiamo vedere le onde radio, le microonde, i raggi ultravioletti e tante altre onde. Questo perché il nostro occhio è specializzato nel percepire solo alcune onde: quelle che sono in un particolare intervallo che ha ai suoi estremi le lunghezze d’onda del rosso e del viola. Immediatamente vicini vi sono i noti infrarossi, usati nelle stufe per scaldarci e gli ultravioletti che ci abbronzano.
Anche i colori – lo si nota nella terza figura – altro non sono che onde di lunghezza diversa, ma tutte nell’intervallo visibile all’occhio.
Quando la luce contiene tutte le lunghezze d’onda visibili, ad esempio quella del sole, per noi è bianca; un vestito colorato, al sole, ne diffonde solo alcune e quindi noi percepiamo sia il vestito che il suo colore. Quando quel vestito le trattiene tutte lo vediamo … nero. Più le onde vengono trattenute, più si genera calore: abiti neri al solleone non sono quindi gradevoli.
La riprenderemo quando esamineremo il sensore.
Per il momento vanno tenuti a mente i tre colori base: rosso, verde e blu. Sono la base del sistema “RGB” (Red, Green, Blue). Ogni colore è una combinazione di ciascuno dei tre con varie intensità, luminosità e saturazione. La mancanza di tutti i colori dà il nero: cioè quello che vede un occhio al buio.
Chi sta leggendo questo articolo, è probabilmente una persona curiosa.
E quindi potrà domandarsi: “il sistema ‘RGB’ vale anche per un dipinto, per una stampante, per un monitor?”
In questo caso i tre colori base – che si ritroveranno ad esempio nelle cartucce di una stampante laser a colori – sono il Cyan, il Magenta e il Giallo: da qui il nome “CMY”.
Quindi non è un caso della vita che fa sì che nell’area centrale della “mescolanza additiva” vi sia il bianco e in quella della “mescolanza sottrattiva” il nero.
Avrete forse sentito parlare di “temperatura della luce”, di luce “calda” e “fredda”. Alla fine dell’800 un signore, Lord Kelvin, dimostrò che esisteva una temperatura minima sotto la quale, per così dire “tutto è fermo”.
E’ lo “zero assoluto”, cioè -273 gradi centigradi. E’ un parametro univoco: al di fuori di complessi esperimenti scientifici, non ci sono gradi Kelvin negativi.
Quindi se qualcosa “si muove”, ad esempio un’onda, ha la sua temperatura, quindi i suoi gradi Kelvin.
La luce del sole contiene più colore rosso al tramonto che a mezzogiorno o più di una luce al neon: è quindi più “calda”. In realtà il blu ha più gradi Kelvin del rosso ed è quindi più “caldo”. Ma la psicologia ha il suo ruolo e poiché siamo abituati a pensare che ciò che è rosso – il fuoco – sia più “caldo”, nel linguaggio comune il colore rosso è più “caldo” del blu.
Quando si scatta una fotografia una delle prime cose da farsi quindi è capire com’è la luce: le moderne fotocamere digitali consentono di “bilanciare” il bianco.
Torneremo anche su questo argomento.
A presto.