Sei stato proprio perfido ad andartene di Venerdì Santo. Mi hai fatto l’ultimo scherzo, maledetto. Amavi prendermi in giro, lo so. Ma non era meglio scegliere un giorno diverso? Eri solo mio suocero, nemmeno un parente stretto. Solo un suocero. Eppure un giorno lontano hai deciso di fidarti di me. Magari fossi stato ostile. Mi avresti reso tutto più facile, accidenti. Invece hai affidato la tua vita nelle mie mani, che non hanno potuto fare niente perché la tua malattia è stata troppo grave. Aggressiva e inarrestabile. Sono stata capace soltanto di starti vicino, per il poco che è servito. Ti ho sempre chiamato Nonno Toni, ma per me tu sei stato e sarai sempre un padre.
Ti accompagnavo a fare le chemioterapie, guidando il suv nuovo di pacca che desideravi, ma che avevi esitato a comprare perché dicevi che eri troppo vecchio e che saresti sembrato ridicolo. “E se dopo che ho preso l’auto nuova mi ammalo e muoio?” mi hai detto a gennaio. Ti ho preso in giro e ti ho convinto ad acquistarla. Maledetta me, odio quella macchina. Se potessi la brucerei subito, anche se mi rendo conto che è solo un oggetto.
Mi ricordo quando a luglio venivo a trovare te e Nonna Bruna al mare con i bambini. Mi portavi il caffè sotto l’ombrellone dopo pranzo e a metà pomeriggio la granita. Uscivamo a cena. Una sera chissà perché mi hai chiesto se, quando stavi per morire, ci sarei stata o mi sarei eclissata. Ti ho promesso che non mi sarei tirata indietro. Spero di non averti deluso, anche se quella notte, nel momento in cui te ne sei andato, mi ero un attimo addormentata perché avevo avuto una giornata davvero lunga. Nonna Bruna era con te, ti ha tenuto la mano fino all’ultimo.
Per te sono stata un acquisto imprevisto e imprevedibile, qualcuno che certamente non avresti mai scelto. Ti divertivi a contraddirmi, così come a me divertiva contraddire te. Ma per te sono riuscita persino a tifare per la Juventus e per me tu sei riuscito persino ad andare contro le tue convinzioni politiche. Abbiamo brindato tante volte insieme, negli scorsi venticinque anni. A te piacevano i bianchi fermi, a me il Prosecco. Per me ti sei convertito al vino frizzante.
So che mi volevi bene. Me l’hai detto quel giorno in cui eravamo da soli sulla tua macchina nuova, di ritorno dall’ultima seduta di chemioterapia. Guidavo e tu eri al mio fianco. Mi hai chiesto di occuparmi di tua moglie e ti ho promesso che l’avrei fatto. Avrei voluto dirti che non era un problema perché ci avresti pensato tu, ma entrambi sapevamo che era una bugia, così come entrambi sapevamo che tua moglie è sempre stata in grado di arrangiarsi da sola, anche meglio di te. Ma certi dettagli, in certi momenti, si possono agilmente tralasciare. Ci siamo capiti per l’ultima volta, senza troppe storie. Come sempre. Ti ho criticato, e tu pure hai criticato me. E adesso con chi discuterò per ore di politica il prossimo Natale?
Il giorno in cui ho partorito il tuo primo nipote, alla fine delle visite, sfidando le infermiere, sei sgattaiolato nella mia camera d’ospedale per dirmi una frase bellissima: “Grazie di avermi fatto diventare nonno”.
Ora sono io che dico grazie a te. Grazie di avermi fatto diventare tua figlia.