Ci siamo lasciate alle spalle il 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, con i suoi numeri raccapriccianti dei tre omicidi al giorno. E non dobbiamo dimenticarcene, questa battaglia civile non deve esaurirsi nell’attenzione sporadica di un giorno, ma continuare sempre. Perché la violenza sulle donne non è un’emergenza, non va intesa come un atto isolato, ma piuttosto come l’esito, se pur estremo, del modo in cui sono costruite e si costruiscono le relazioni tra donne e uomini e che appunto dietro la violenza c’è l’incapacità degli uomini di gestire queste relazioni, l’incapacità di assumersi il rischio della propria soggettività. Quindi va considerata un portato del contesto sociale e culturale in cui si muovono oggi le relazioni tra donne e uomini, il terreno di coltura che permette il fuoriuscire di geiser di violenza.
E allora possiamo fermare la nostra attenzione in generale sulle donne. Certo non è facile in poche righe perché parlare di donne oggi è aprire lo scenario del mondo, provate a immaginare se il titolo fosse: uomini oggi… Dico questo perché le donne oggi non possono più essere considerate soggetti residuali, entrate tardi nel mercato del lavoro, eventualmente da proteggere e tutelare. Direi che sono assolutamente centrali per il funzionamento della società. Non a caso dico le donne, al plurale. Non sopporto che si parli della donna: le donne sono diverse tra loro per posizione sociale, per scolarizzazione, per i lavori che fanno, per le loro caratteristiche individuali, come diversi sono gli uomini.
E quando si affronta il tema delle donne, oggi in Italia, che vuol dire poi affrontare il tema della società nel suo complesso, emerge un quadro a fortissime differenziazioni, in bianco e nero. Nulla di omogeneo, di piano, di solidificato, ma grandi contrapposizioni. Donne che sono entrate nella vita pubblica (nella politica, nei CDA delle aziende e delle municipalizzate) senza eccessivo scandalo, ma anche giovani donne che faticosamente cercano di non essere sommerse dalla precarietà del lavoro e del reddito; donne in carriera con mariti facilitanti e figli e donne mobbizzate e respinte dal mercato del lavoro per il solo fatto di diventare madri; scolarizzazione di eccellenza che viene ignorata quando si tratta di decidere un’assunzione; affermazione pubblica dell’impossibilità per un paese di non valorizzare la presenza delle donne nel mercato del lavoro e nell’organizzazione sociale pena il fallimento di questo stesso paese e contemporaneamente la mancanza di qualsiasi misura concreta per arrivare a questo obbiettivo; pubblicità e Tv che umiliano le donne, con una sorta di fissazione tutta italiana sul corpo femminile. Una delle anomalie di questo paese è che gli uomini hanno pensato di fare a meno delle donne, del pensiero delle donne, della presenza delle donne nella polis. Ma, negando il pensiero, hanno riversato la loro attenzione sul corpo delle donne: corpi nudi. Come se, nel momento in cui le donne cercano di esserci – e ci sono- con la loro testa, con la loro intelligenza, tanto più si infierisse sul loro corpo.
Luci e ombre appunto. Molte ombre, ma anche qualche luce, che si può intravvedere nelle più giovani, nelle battaglie ecologiste, nelle battaglie contro la violenza (Non una di meno), nel modo diverso di fare politica, partendo dal loro essere donne, con determinazione e forza. Insomma, nel mettere ordine e pulizia nel mondo sporcato e messo in disordine. Esercitando il senso del pulito, dell’estetico, del bello, dell’etico, del mite, in tempi di virilità feroce. Sono tante le donne che eccellono nelle discipline scientifiche, nell’innovazione, nelle capacità manageriali e non posso citarle una per una. Mi piace piuttosto fare riferimento a una energia collettiva che sembra manifestarsi nelle più giovani, ad esempio nelle elezioni americane di medio termine, che sono partite dal loro vissuto personale per proporre obiettivi concreti e grande capacità organizzativa. Come le ragazze di “Non una di meno” che hanno portato in piazza 100.000 donne. Come dice Alessandra Bocchetti “la vera rivoluzione sarà quando le donne saranno capaci di parlare con la loro voce, quella della loro storia, se non se ne dimenticheranno, se non se ne vergogneranno”.
E soprattutto con un capovolgimento dell’ottica del ragionamento. Da “esiste un problema delle donne” a “il problema sono gli uomini e l’organizzazione culturale, sociale, politica ed economica che hanno messo in piedi”.