Nel numero di settembre, il primo dopo la pausa estiva, vi parlavo degli ascolti sonnolenti delle vacanze, non turbati né da novità né da eventi straordinari. Ebbene, un’eccezione c’è stata: si tratta del cd di una minuscola – sino a ora a me sconosciuta – e preziosa casa discografica brétone, Son an ero (“Il canto del solco”, in brétone), è il frutto dell’avventura di un gruppo di giovani, appassionati organisti, guidati dall’organista e clavicembalista Jean-Luc Ho.
Un organo barocco giaceva, smontato da anni e ormai dimenticato, nell’antico monastero di Buenafuente del Sistal, in Castiglia: con il sostegno dell’associazione L’Arte della Fuga una complessa operazione di restauro e di trasporto gli ha finalmente dato una nuova casa ed una nuova vita nella chiesa di Fresne, una cittadina della periferia di Parigi. Oggi questo prezioso, storico strumento è al cuore di un intenso progetto culturale, che ben illustra il cd l’Órgano viajero (l’Organo viaggiatore), pubblicato nel quadro delle attività dell’associazione Son an Mein (“Il canto delle pietre”).
Tre organisti, Étienne Baillot, Anne-Marie Blondel e Jean-Luc Ho, il coordinatore del progetto, animano i timbri, volta a volta sommessi o aspri e trionfanti, dello strumento in un programma dedicato au classici del repertorio organistico spagnolo e portoghese dal XVI al XVIII secolo (Antonio de Cabezon, Alonso Mudarra, Juan Bautista Cabanilles e José Antonio Carlos de Seixas più qualche sconosciuto), ma anche quattro composizioni che Géraud Chirol, uno dei padrini de progetto, direttore del Conservatorio di Fresnes, ha scritto per organo a quattro mani, parte di una suite, Fragments mésotoniques (Frammenti mesotonici), che “con le loro armonie sottili e i timbri succulenti rendono un perfetto omaggio alla natura dello strumento, con tutto quel che ci vuole di aspro e terroso …”.
Ascoltate, ad esempio, la Batalla I Imperial de cinquè to di Cabanilles (interpretata da Jean-Luc Ho), con gli inconfondibili registri d’ancia della Trompeta real, del Baioncillo (derivato dalla dulciana – un antenato del fagotto – che accompagnava i canti liturgici), del Pajaritos (usignolo) e della Gaïtas (piccola cornamusa).
Devo aggiungere che tutti gli anni l’associazione Son an Mein organizza in luglio un Petit Festival che quest’anno ha avuto come tema il soffio del vento tra gli alberi, un’occasione per inediti incontri tra la musica antica e le influenze venute dall’America latina, dal Mediterraneo orientale o dall’Iran in luoghi “ove le capre sono altrettanto abituate alla musica barocca che al fresco delle vallette ombrose”.
Órgano viajero
Étienne Baillot, Anne-Marie Blondel, Jean-Luc Ho: organo – Son an ero (69’)
Joseph Haydn
Cello Concertos 1 & 2 – Xenia Jankovic: violoncello, St Georges Strings – Calliope (50’34)
Più o meno consapevolmente siamo tutti condizionati dai primi incontri con un’opera musicale. Sono stato, quindi, colto di sorpresa all’inizio dell’ascolto di questa nuova incisione di due capolavori del repertorio della musica per violoncello.
I due Concerti di Franz Joseph Haydn – che il compositore (ma qualche dubbio sull’attribuzione sussiste ancora per il primo) scrisse per due virtuosi, Joseph Weigl e Antonin Kraft, come lui alle dipendenze della corte del principe Paul II Anton Esterházy – hanno all’origine un organico che comprende oboi e corni, due strumenti che danno all’orchestra uno slancio piccante, quasi percussivo, introducendo ed incoraggiando le impennate del solista.
È questa la prima registrazione che ascolto di una trascrizione per violoncello ed orchestra d’archi, e non riuscivo ad immaginare cosa avesse indotto la brava Xenia Jankovic a questa scelta, se non, forse, il piacere di essere accompagnata dai valorosi archi dei St Georges Strings, un ensemble che, dopo i primi successi di Belgrado, ha rapidamente conquistato una rinomanza internazionale.
“Sono stata tentata – ha detto Xenia – di trovare un modo particolare di suonare questi Concerti con un’orchestra d’archi, e di creare una versione nella quale non si senta la mancanza dei fiati dell’edizione originale. L’arrangiamento di Mladen Miloradovic per archi è particolarmente riuscita, e dà ai St Georges Strings la possibilità di mettere in valore le sue sonorità ed un virtuosismo fur dal comune”.
Il risultato è, comunque, dopo la sorpresa iniziale, estremamente gradevole, grazie sopratutto al virtuosismo ed alla bellezza del suono dello strumento di Xenia.
The Late Debussy
Études & Épigraphes Antiques – Axel Trolese: pianoforte – Movimento Classical (65)
Un nuovo astro montante all’orizzonte del pianismo italiano: il giovanissimo Axel Trolese, esordisce con un cd desinato a far sensazione, dedicato alle ultime composizioni per pianoforte di Claude Debussy. Le Épigraphes Antiques nascono come un adattamento per pianoforte a 4 mani delle musiche per due flauti, due arpe e celesta scritte tra il 1900 e il 1901 come intermezzi per una recitazione delle Chansons de Bilitis di Pierre Louys, mentre i due libri degli Études, composti tra l’agosto e il settembre 1915, sono dedicati alla memoria di Frédéric Chopin.
Axel non esita, dopo averla sfiorata, insinuante, a scuotere ed attaccare frontalmente la musica di Debussy: nelle Epigrafi antiche – che aprono il programma del cd – le sue dita sono, di volta il volta, la carezza che rivela, che scopre la superficie del marmo, e lo scalpello che lo traccia per l’eternità.
Alla base della sua lettura di queste opere del tardo Debussy – sopratutto gli Studi, tra le composizioni più complesse ed ermetiche della letteratura pianistica – c’è la lucidità, la cultura ed un’indiscutibile originalità dell’interprete, ma sopratutto la luce di una verità al di là di ogni speculazione intellettuale, un dono che oggi permette di rinnovare l’emozione all’ascolto di opere che potevano sembrare ormai logorate, esaurite dalle sin troppe storiche interpretazioni: prima di tutte quella, che rimane insostituibile, di Arturo Benedetti Michelangeli. Il confronto non è superfluo: Michelangeli accettò di affrontare la registrazione di questi Studi dopo averli per anni studiati, lavorati, sofferti: il primo volume nel 1978, ed il secondo dieci anni dopo, a sette anni dalla sua morte. Per Axel Trolese, che pure ha al suo attivo qualche anno denso di felici concorsi e di concerti nei luoghi più prestigiosi della musica classica, questo è il primo disco. Potrebbe sembrare una scelta presuntuosa, o quanto meno sconsiderata, imprudente, per un pianista che non ha ancora vent’anni, ma è la serena affermazione di una maturità che con l’età anagrafica non ha nulla a che fare.
Oltre al video dell’Étude numéro 7 “pour les degrés chromatiques”, vi propongo la registrazione di un’interessante master class con il pianista Roberto Prosseda (laziale anche lui) – che si svolge, chissà perché, in inglese – su l’Étude numéro 10 “pour les sonorités opposées”.
Noémi Boutin
Benjamin Britten: Cello suites – Noémi Boutin: violoncello – NoMadMusic (74’05)
Abito da mezza sera nero, spalle nude con ampio tatuaggio policromo, mezzi-guanti in merletto nero, piedi nudi librati sulla tastiera del violoncello ma calzature (verdi) con ampie suole compensate abbandonate in prossimità, un lieve sorriso ironico aleggia sulle sue labbra, e Noémi Boutin si presenta sulla copertina del suo nuovo cd NoMadMusic come quella violoncellista giovane e spregiudicata che è.
Noémi ha al suo attivo un certo numero di cd di vario contenuto, da Travaux pratiques, nel quale il jazz si alterna al rock (classico, fusion o d’avanguardia), a quello con il Trio Cérès, dedicato, più tranquillamente, a Gabriel Fauré, Maurice Ravel e Philippe Hersant, sino ad Amitiés (Amicizie) una monografia delle musiche del francese contemporaneo François Sarhan, nel quale Noémi – con Frédéric Aurier (violoncello anche lui) alterna con humour e decisione la voce allo strumento.
Se per il suo primo cd nel quale è sola con il suo strumento ha deciso di registrare quel capolavoro del repertorio che sono le Suites per violoncello di Benjamin Britten, rarissimamente presenti nei programmi dei concerti, è “… perché esse hanno la densità, la delicatezza e la visionaria sensibilità delle grandi opere. La ricchezza di questa musica – che Britten scrisse per Mstislav Rostropovitch – offre, all’interprete e a chi ascolta, un mondo di espressioni intime e oniriche, un campo di sonorità infinite”. E di questo mondo, libero da ogni riferimento a scuole o stili riconosciuti, e del linguaggio, unico ma facilmente riconoscibile di Britten, Noémi è interprete geniale e sensibile, rigorosa e fantasiosa al tempo stesso, senza mai tradire quel che di classico hanno queste splendide composizioni.