Per una volta dedico l’«apertura» di questa rubrica – che alla musica in disco è abitualmente dedicata – ad un’altra forma di registrazione (e diffusione) della quarta Musa.
Se la musica è stata sempre di potente soccorso all’immagine – agli inizi della cinematografia, e per lunghi anni, c’era soltanto lei a colmare il silenzio delle sale di proiezione – non si può dire il contrario.
I film che Henri Georges Clouzot ha dedicato Von Karajan sono più un monumento eretto alla gloria del Maestro che un omaggio a Ludwig van Beethoven, e per molto tempo si è sostenuto che nelle trasmissioni televisive l’acustica dei concerti era, comunque, degradata.
Ma le cose sono cambiate, e i video-clips – rapidi ed agili documenti filmati nei quali i musicisti «mettono in scena» la loro interpretazione o una seduta di registrazione, accompagnandola, o no, con un’intervista – diventano sempre più frequenti sul net, ed interessanti (e la bellezza degli strumenti e dei luoghi aggiunge fascino ed informazione alla musica, anche se essa è, spesso, ridotta a brevi, interrotte, apparizioni).
Mi dà l’occasione di questa digressione un geniale liutista virtuoso – ed uomo d’immagine -, Luca Marconato, che ha saputo schiudere nuovi orizzonti per renderci l’infinito mondo della musica classica ancora più prossimo, rivelandocene la dimensione fantastica attraverso itinerari inediti ed imprevedibili. L’ho conosciuto – e ve ne ho parlato la prima volta – in occasione del suo video-clip dedicato Luca Oberti ed al suo cd Louis Marchand – un capolavoro di humour e di sensibilità musicale -, e più tardi per Il Trombone barocco sul cd di Ercole Nisini.
Ho chiesto a Luca di parlarci di questa sua attività.
Da dov’è partita l’idea di realizzare videoclip di musica classica?
“Fino a qualche anno fa mi occupavo esclusivamente di musica, dividendomi tra concerti di musica antica (liuto, tiorba e chitarra barocca) e la realizzazione di colonne sonore, soprattutto per la tv.
Ricordo benissimo l’esatto istante in cui, alla fine di una prova per un concerto a Roma, mi venne la prima idea di videoclip musicale applicato a questo genere, un po’ di nicchia e spesso visto in modo troppo serioso e malinconico dal pubblico.
Così, come spesso avviene quando scrivi musica per l’immagine, ho pensato che la chiave giusta per avvicinare anche il pubblico meno “colto” in materia fosse quella di creare un video bello, curato in ogni suo dettaglio, alla portata di tutti e assolutamente “pop”, come se ne vedono per i grandi artisti della musica “moderna”, dal rock all’hip-hop, all’elettronica…”
Puoi descriverci il processo creativo e realizzativo nei tuoi videoclip?
“Alla base dei miei videoclip c’è sicuramente in primis la preparazione musicale, che mi apre le strade per molteplici chiavi di lettura. In accordo con il committente del video – singolo artista o ensemble – mi viene inviata una selezione di tracce musicali e dopo averle ascoltate ne scelgo una nello specifico; questo è forse uno dei momenti più importanti del processo creativo perché inizi a lavorare di fantasia, ad immaginare una storia, a supporre possibili locations, a simulare inquadrature e a mettere insieme una serie di “visioni” che funzionino per dare senso alla storia. A questo punto generalmente inizio a scrivere un “concept”, cioè una sinossi, un soggetto su cui lavorare che mi servirà come continuo riferimento per ogni scelta che farò.
Ci sono però dei vincoli da tenere sempre in considerazione perché, esattamente come avviene per la produzione di un film, partendo necessariamente da un limite massimo di budget disponibile, devo determinare il numero di giorni di riprese, i mezzi tecnici da utilizzare, il personale da coinvolgere e il numero di giorni di post produzione.
Una volta scritta la storia su carta, inizio la lavorazione in partitura delle immagini che voglio associare alla musica, esattamente il processo inverso a quello che faccio con le colonne sonore. Qui la differenza la fa un’accurata analisi audio-visiva e una profonda conoscenza dell’armonia, alla quale seguono le fasi più “tecniche”, vale a dire un piano produzione e un minuzioso piano inquadrature.”
Se dovessi scegliere oggi, quale di queste espressioni artistiche ti senti di privilegiare?
“Partendo dal presupposto che mi sento già io stesso un “privilegiato”, in quanto scelgo ogni giorno – e ormai da qualche anno – le attività e i progetti che voglio portare avanti, probabilmente sulla bilancia artistica l’attività di regia oggi assume un peso maggiore di quella dei concerti.
E la verità è che dopo 20 anni la sola attività di musica antica mi iniziava a “stare stretta” e ho scelto di non volermi più impegnare in gruppi dove troppo spesso non conta il talento ma un atteggiamento accomodante e poco sincero, solo per poter accattivarsi la benevolenza del “Direttore”.”
Potete trovare altri dettagli sull’attività di Luca, ed altri interessanti video, musicali e non, sul suo sito.
Bach
Sei Suonate à Cembalo certato è Violino solo – Chiara Zanisi: violino, Giulia Nuti: clavicembalo – Arcana (41’16 + 54’03)
Ho sempre avuto l’impressione che queste Sei Suonate à Cembalo certato è Violino solo siano considerate, nella multiforme produzione di Johann Sebastian Bach, quasi delle parenti povere, occultate dallo splendore di quei capolavori assoluti che sono le altre composizioni che Bach ha dedicato agli strumenti ad arco solisti, in particolar modo le Sonate e Partite per violino solo, le Suites per violoncello solo e le Sonate per viola da gamba e clavicembalo.
I grandi virtuosi ad esse si sono dedicati sempre «dopo», come per un senso di dovere (come quando, per esempio, si invitano parenti poveri in occasioni nelle quali proprio non li si può ignorare, presentandoli con una velatura di disagio).
Era una sensazione molto personale, vaga e imprecisata, ma che mi riviene, oggi, alla mente – per contrasto! – in occasione di questa bellissima, totalmente nuova e decomplessata interpretazione di Chiara Zanisi, che ha scelto queste Suonate per il suo debutto discografico (in quanto solista). E già questa sua scelta dice tutto. Il suono purissimo, «parlante», del suo violino, tutto in elevazione, trasporta questa musica – forse non seducente e accattivante come quella delle sue più titolate parenti – nella sfera del sublime, avvolgendo d’una magica aura la divinità della forma, e Giulia Nuti, al clavicembalo, è complice ideale, ed ideologicamente coerente, nell’impresa.
Con ulteriore originalità, le due interpreti si sono prestate al giuoco dell’intervista su YouTube, in italiano (per una volta !!! ), ed il loro discorso, semplice ed esplicito, è la miglior illustrazione delle loro scelte e della loro visione dell’opera.
Carlo Francesco Cesarini
Cantatas – Stéphanie Varnerin: soprano, Giorgio Tabacco: clavicembalo, L’Astrée – Gruppo cameristico dell’Accademia Montis Regalis – Aparté (70’)
Come può un compositore, uno dei più importanti del barocco italiano, talmente importante al suo tempo da esser presente sulle scene e nelle cronache dell’epoca al fianco di Alessandro Scarlatti, Stradella o persino Haendel, scomparire improvvisamente dal panorama musicale? Non lo sapremo forse mai, possiamo soltanto esser grati all’ensemble Astrée che, avendone ritrovato le tracce in fondo al catalogo delle edizioni critiche della Società Editrice di Musicologia di Roma, ha ridato vita alle interessantissime musiche di Carlo Francesco Cesarini (1666-1741?) – detto anche Carlo del Violino (in quanto egli era, anche, violinista virtuoso).
Le sei Cantate presentate in questo cd – si tratta di una prima registrazione mondiale – furono composte all’inizio del ‘700 e regolarmente eseguite tra il 1700 ed il 1717 nella cerchia del famosissimo cardinale Benedetto Pamphilj, uno dei protagonisti della vita culturale romana dell’epoca.
Splendidamente interpretate, e con grande evidenza drammatica, da Stéphanie Varnerin accompagnata dall’Astrée diretta da Giorgio Tabacco al clavicembalo, queste composizioni trattano i temi cari all’Arcadia: gli spasimi di un amore non ricambiato, i tradimenti e gli abbandoni, nel quadro pastorale degli inevitabili episodi mitologici.
Il tutto nella magica ambientazione della presa di suono di Aparté (su YouTube un lungo documentario sulla registrazione, con interessanti interventi degli interpreti).
Martín Palmeri
MisaTango (Misa a Buenos Aires) – Sophie Anne: soprano, Gilberto Pereira: bandoneon, Thomas Tacquet: pianoforte, Orchestre Pasdeloup, Choeur regional Vittoria d’Île de France, Michel Piquemal – Hortus (40’24)
Una messa – con i suoi Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e tutt’il resto – ma con ritmi e sonorità alle quali non siamo abituati (anche se, ormai, le chitarre folk e le percussioni di lontane etnie non sono rare a fianco degli altari delle nostre chiese). L’argentino Martín Palmeri ha genialmente associato al coro – quello regionale Vittoria d’Île de France – ed all’orchestra (la Pasdeloup) diretti da Michel Piquemal, il pianoforte di Thomas Tacquet ed il voluttuosamente tragico bandoneon di Gilberto Pereira.
Ma non si tratta di una «trovata», tanto per «far diverso» aggiungendo una stravaganza nella speranza di risvegliare un rituale statico e stanco che delle grandi composizioni barocche e classiche era soltanto il dimenticato pretesto: questa MisaTango o Misa a Buenos Aires, creata vent’anni or sono, ha riscontrato un successo planetario arrivando sino a Papa Francesco che l’ha ascoltata – e, sembra, apprezzata – in Vaticano.