Conobbi, quasi per caso, François Couperin cinquant’anni fa, in occasione del terzo centenario della sua nascita, che a Roma – all’Accademia di Santa Cecilia – fu celebrato in sordina, e grazie quasi esclusivamente all’iniziativa di Emilia Zanetti che, in quei difficili tempi, ne era la coraggiosa bibliotecaria. Chi, in quegli anni, si preoccupava del nume tutelare del clavicembalo ? (uno strumento che, del resto, in Italia a quell’epoca veniva rarissimamente esibito in concerto, quasi un reperto archeologico estratto da collezioni private o da musei, quindi sovente in cattive condizioni di conservazione, con sonorità ed articolazioni estremamente improbabili).
Ricordo sopratutto che il clavicembalo, in quella occasione, era uno strumento bianco – sembrava venuto fuori da un gabinetto di dentista – ed il suo suono secco e fragile a malapena andava oltre la quinta fila di poltrone, giustificando il bon mot del simpatico direttore d’orchestra inglese Sir Thomas Beecham che lo paragonava al rumore prodotto da due scheletri che fanno l’amore su un tetto di zinco. Ma l’interprete, in quella occasione, era il geniale Ruggero Gerlin – allievo poi assistente della grande Wanda Landowska -, e, malgrado tutto, il suo Couperin mi aprì nuovi orizzonti verso la musica francese del Grand Siècle e la sua colta raffinatezza.
Cinquanta anni sono passati ed è una allieva di Gerlin, Blandine Verlet, che, dopo un lungo periodo di silenzio, per Aparté celebra il 350° anniversario della nascita di François Couperin registrando un cd con il 1° e 18° ordre dal Terzo libro dei Pièces de clavecin. Il disco si presenta come un elegante volumetto, accompagnato da La Compositrice, divagazione in forma di prosa poetica della clavicembalista che fa eco alla sua fantasiosa interpretazione. Mi auguro che esso sia il primo di un’integrale (sarebbe la seconda per Blandine, che ne aveva già la completata una per Auvidis tanti anni fa).
Complice ideale dell’impresa è lo strumento, copia fedele di un clavicembalo Andreas Ruckers del 1636, dalla sonorità aerea, trasparente e presente al tempo stesso, che ben si presta all’interpretazione meditata e rivelatrice, splendidamente registrata da Nicolas Bartholomé, di queste Pièces dai titoli fantasiosi e stravaganti, come Les Vieux Galants et le Trésorières surannées sous les Dominos purpres et feuilles mortes, La Frénésie ou le désespoir sous le Domino noir o Le Gaillard boiteux.
Accanto alle Pièces de clavecin, l’opera principale di François Couperin, quella che meglio lo rappresenta (per organo ci son giunte solamente due bellissime messe), Aparté pubblica anche le sue composizioni più singolari che, negli ultimi anni della sua vita, egli ha dedicato alla viola da gamba e che solo di recente gli sono state definitivamente attribuite. Due Suites che Atsushi Sakaï interpreta magistralmente su uno strumento che egli ha fatto creare specialmente per questa registrazione. Christophe Rousset, suo complice ormai da tanti anni, lo accompagna al clavicembalo, assieme alle gambiste Marion Martineau e Isabelle Saint-Yves. Nella sua attività concertistica Atsushi alterna la viola da gamba delle intense e sensibili interpretazioni barocche al violoncello jazz, e questa molteplicità di visioni giova ad illuminare l’audacia che Couperin mostra nelle sue composizioni, sensuali e misteriose, in cui la melanconia si alterna al carattere gioioso delle danze.
Completa il programma una splendida Pièce à trois violes en ré mineur di Antoine Forqueray che già Atsushi ha celebrato in una registrazione per Aparté.
François Couperin
Pièces de clavecin, Troisième livre (ordres 13 et 18) – Blandine Verlet: clavicembalo – Aparté (56’25)
Couperin
Atsushi Sakaï, Christophe Rousset, Marion Martineau, Isabelle Saint-Yves – Aparté (62’57)
Quatuor Ellipse
Saint-Saëns, Debussy, Lekeu – Ad Vitam Records (64’59)
La prima apparizione in cd per il Quartetto Ellipse, quattro giovani musicisti che già da qualche tempo suonano insieme, pur se diluiti in quella numerosa e gloriosa falange che è l’Orchestre National de France. Ricchi dell’esperienza acquisita sotto le bacchette di famosi direttori come Bernard Haitink, Riccardo Muti, Emmanuel Krivine, Seiji Ozawa e legati dall’amicizia e dalla comune passione per la musica francese, hanno scelto per questa prima registrazione due opere ben raramente eseguite, in concerto ed in disco, il Quartetto op.153 di Camille Saint-Saëns ed il Molto adagio sempre cantante doloroso di quel genio adolescente, precocemente scomparso, che fu Guillaume Lekeu.
Associate al Quartetto op.10 di Claude Debussy, queste composizioni, pur animate da pulsioni ben diverse, testimoniano di un periodo cruciale per la musica strumentale in Francia al passaggio tra XIX e XX secolo. Grazie soprattutto all’impulso della Société Nationale de Musique, che presieduta, appunto, da Camille Saint-Saëns, operò per una promozione della musica da camera, sino ad allora eclissata dalla musica vocale.
La lettura di questi rari capolavori è attenta e appassionata, e, per il Molto adagio di Lekeu, sublime. Ed il Quartetto di Saint-Saëns si arricchisce di una venerabile densità che lo solleva ben al di là di una superficiale e sorridente testimonianza del passato.
Un disco pieno di promesse che lascia sperare un prossimo ricco e variato futuro.
Berg & Brahms
Jérôme Comte: clarinette, Denis Pascal: pianoforte – Paraty (52’51)
La coraggiosa – ed a prima vista non evidente – associazione di due capolavori del repertorio per clarinetto – le Sonate di Johannes Brahms – e dei Quattro pezzi che Alban Berg scrisse per questo strumento nel 1913.
“Essi fanno parte – disse Pierre Boulez – di quei gesti “innescati” che, si sente, potrebbero prolungarsi, diffondersi, moltiplicarsi. Come gli inneschi nel diario di Kafka, questi pezzi ci lasciano sospettare dei prolungamenti inespressi, al di là della scrittura reale, chiusa“.
E Jérôme Comte, clarinetto solista dell’Ensemble Intercontemporain, è interprete ideale di questo ponte tracciato tra passato e avvenire. C’è, evidentemente, una rottura di stile, di intenzioni tra Brahms e Berg, ma il gusto del canto, dell’espansione sentimentale caratteristico della cultura mitteleuropea, assicura la continuità. Ed il dialogo di due epoche si stabilisce, all’ascolto, grazie anche alla colta versatilità di Denis Pascal, complice ideale al pianoforte.
Claude Debussy
Jazz Impressions – Hervé Sellin – Indésens (52’29)
Dall’incontro tra il jazz e la musica può venir fuori di tutto: l’utilizzazione/distorsione di temi celebri, abusati aggiungendo giusto quel tanto di sincopi e di swing che permetton di creare un’illusione jazzy, ma anche – raramente, a dire il vero – una luminosa lettura che coglie nell’originale ritmi ed armonie evocatrici di libertà e di fantastiche divagazioni.
È il caso di questo bel cd che il pianista jazz Hervé Sellin – già allievo di Aldo Ciccolini – dedica a Debussy nel centenario della morte del compositore. “Come questo Maestro della musica impressionista, ed in tutta modestia – ha detto Hervé –, nutrendomi dei suoni, dei profumi, dei ritmi e delle parole, ho mescolato in questo programma la mia ispirazione e le mie esperienze di jazzman fondendo gli elementi per meglio ritrovarli in una rinnovata identità, ristrutturati in forma di divagazioni con i colori del jazz e dell’improvvisazione“.
Le opere che hanno ispirato l’interprete sono quelle dedicate all’infanzia – come Children’s Corner e The little Negro – ma anche le più note, volatili, poetiche ed evocatrici: Chiaro di luna, La fanciulla dai capelli di lino, Riflessi nell’acqua sino a quel capolavoro che è il Prélude à l’après-midi d’un faune. Per conchiudere, In a Mist, il capolavoro del cornettista jazz New Orleans Bix Beiderbecke, tra ragtime e impressionismo, tutto impregnato dei colori e animato dalle attese della musica di Debussy.