2017 comincia bene, anzi benissimo, con una registrazione che non esito già a proclamare CD dell’anno !
In tempi lontani ascoltavo molta, forse troppa musica, con l’avidità di chi non è mai riuscito a tirar fuori da uno strumento tre note con un senso. Oggi non ascolto più per vana curiosità o distrazione, e devo, inoltre, aggiungere che nel mio Tempio della Musica, le Opere sono ormai poco numerose e le Divinità rare. E, di esse, soltanto Hélène Schmitt è oggetto di sfrenata iperdulia (se non latria).
Apparve, folgorante e sfolgorante, al mio orizzonte già diversi anni fa, con le Sonate e Partite di Johann Sebastian Bach, edite da Alpha, a cui fecero seguito una serie di geniali, entusiasmanti registrazioni. La scoperta, sopratutto, di Giovanni Stefano Carbonelli, Ignazio Albertini e Nicola Matteis, compositori italiani totalmente dimenticati del ‘600 e del ‘700, ma anche Marco Uccellini, Johan Heinrich Schmelzer e alcune Sonata di Mozart e Beethoven giovani. Poi un preoccupante, inesplicabile, silenzio.
Ed ecco che da questo silenzio – ricerca ? meditazione ? o distrazione di case discografiche ormai attirate sopratutto dalle ingannevoli, immediate, frivole seduzioni di giovani e capricciosi solisti dalla lusinghiera apparenza – Hélène riemerge con un capolavoro, queste Sonate del Rosario, vertiginosa architettura che Heinrich Ignaz Franz von Biber ha edificato sui quindici Misteri – gaudiosi, dolorosi e gloriosi – che inquadravano i Pater, Ave e Gloria della nostra infanzia e che ancora ronzano la sera nelle chiese semi-deserte (in tempi recenti, Giovanni Paolo II ha introdotto «facoltativamente», i misteri luminosi che sino ad ora, tuttavia, nessun compositore ha messo in musica).
Al di là, comunque, della loro mistica ispirazione, queste affascinanti Sonate – dedicate da Biber all’arcivescovo di Salisburgo, suo protettore – celano un contenuto, un mistero, ben più interessante per l’interprete, per il musicologo e per chi oggi le ascolta, un mistero che concerne un’utilizzazione particolare – ed, in questo caso, difficilmente motivabile – del violino. Il compositore esige, infatti, per ciascuna delle Sonate una scordatura diversa (soltanto per la Passacaglia che conclude l’opera l’accordatura è quella tradizionale: sol, re, la, mi) che implica una maniera un po’ folle di suonare, con diteggiature sempre diverse. Non è questa la sede per dilungarmi in spiegazioni tecniche, basterà dire che Biber non ha mai dato una spiegazione per questa scelta, che annuncia, peraltro, al Vescovo: «Ho accordato la mia lira ai quindici misteri …».
Una stravaganza metaforica? Bisogna aggiungere che la musica di queste Sonate non è rappresentativa, non configura sentimenti umani; bisogna considerarle – dice Hélène – come una serie di meditazioni sulla flagellazione, la croce etc. Ed io aggiungerei: di preghiere. Di preghiere che alternano una perpetua interiore recitazione (come quella dei Racconti di un pellegrino russo) alla vertiginosa, travolgente, preghiera dei Dervisci rotanti.
Resta a dire dell’interpretazione, di Hélène Schmitt. Non voglio parlare della sua tecnica, che ancora una volta sorprende per una eccezionale giustezza che non esclude la spontaneità, ma della sua partecipazione al mistero, alla preghiera, in una rivelazione dell’opera che va al di là di ogni possibile dissertazione. È rarissimo – ma ogni tanto accade – che le opere più discusse, più soggette a versioni diverse e conflittuali, si illuminano improvvisamente della luce della Verità, attraverso un’interpretazione che – lo si sente anche se non se ne può dire il perché – è quella definitiva, che ne comprende tutti i significati e le intenzioni.
C’è un video nel quale Hélène parla (in francese) della sua visione delle Sonate, e nel quale sono visibile alcuni – pochi, ohimè – momenti della registrazione. In queste immagini, nell’intensità dell’espressione di Hélène, medium geniale, è tutto quel che vi ho detto, ma anche l’ineffabile splendore della sua rivelatrice partecipazione.
Heinrich Ignaz Franz von Biber
Die Rosenkranzsonaten – Hélène Schmitt: violino, François Guerrier: claviorgan, Massimo Moscardo: arciliuto, tiorba, Francisco Mañalich: viola da gamba, Jan Krigovsky: violone – Aeolus (145’38)
Nova Europa
Melodies d’un monde en mutation – Seconda Pratica – Ambronay (63’06)
Il termine Seconda Pratica – introdotto per la prima volta da Claudio Monteverdi nella prefazione del suo Quinto libro di madrigali – indica la «perfezione della musica moderna» contrapposta alla Prima Pratica che definisce quel che all’epoca era considerato stile antico, quello, per intendersi, di Giovanni Pierluigi da Palestrina. Oggi Seconda Pratica è il nome di un giovane ensemble, composto da solisti, formati nei conservatori di Amsterdam e de La Haye e riuniti in un programma che intende – con le sue interpretazioni del repertorio, principalmente polifonico – confrontare le epoche e le tendenze in un viaggio attraverso le musiche con le quali l’occidente – ed i gesuiti -, al XVI e XVII secolo, hanno voluto affermare la loro presenza – quindi supremazia – morale e religiosa nel sud America appena colonizzato. Musiche che in questo confronto hanno rivelato una nuova vitalità rinnovandosi in interpretazioni animate da modi e strumenti autoctoni.
Alla libertà di scrittura proclamata dalla Seconda Pratica corrisponde la mescolanza di erudito rigore e divagazione fantastica, in un dialogo continuo tra la libertà intrinseca al testo e le nuove forme di presentazione al pubblico, in concerti commentati e che fanno frequente ricorso alla plurimedialità. La magia delle intenzioni funziona anche in questo bel cd, il settimo della collezione giovani Ensembles di Ambronay Éditions.
Beethoven
Complete Sonatas for piano & violin – Pierre Fouchenneret: violino, Romain Descharmes: pianoforte – Aparté (82’23 + 71’23) + 82’46)
Questa integrale delle Sonate per violino e pianoforte di Ludwig van Beethoven è, ancora una volta, uno di quei gioielli che Aparté produce, rivelandoci – è la sua specialità – due giovani, geniali interpreti, ed – in questo caso – un luogo di registrazione che, si ha l’impressione, ha notevolmente partecipato al successo dell’impresa. Non soltanto grazie alla splendida acustica – una delle migliori in Francia -, ma anche alla magia di un ambiente, il Teatro all’italiana del Trident, à Cherbourg-en-Cotentin partner della Belle Saison (la Bella Stagione) a cui va il merito dell’iniziativa. Nella spoglia solitudine di un palcoscenico aperto sulla esuberante decorazione ottocentesca della sala, i due solisti hanno vissuto – dapprima in concerto, poi in registrazione – la traversata di queste dieci Sonate, dalla gioiosa vitalità delle prime all’ombrosa, corrusca energia delle ultime, realizzandone un’edizione di singolare coerenza ed intensità.
Sonates
Fauré, Ropartz – Louis Rodde: violoncello, Gwendal Giguelay: pianoforte – NoMadMusic (61’40)
Un violoncello sensibile e appassionato quello di Louis Rodde che assieme al pianista Gwendal Giguelay – suo complice sin dagli anni di conservatorio – ci presenta tre opere-chiave del repertorio post-romantico cameristico francese: le due notissime Sonate di Gabriel Fauré – composte negli ultimi anni della sua vita – e la Sonata n°2 di Joseph-Guy Ropartz, che qui ascolto per la prima volta.
Il lirismo di questa musica, in un racconto profondamente sentimentale che evoca panorami lontani ed ondeggianti di fragili e sfumati colori, risuona aereo e sensibile, e respira atmosfere marine (sopratutto per Ropartz), nell’elegante, emotivamente rattenuta, interpretazione del giovane duo.