Da tanti anni, ormai, vivo in campagna, e lontano dal vivo di ogni manifestazione musicale. Troppi concerti ho frequentato nel mio passato di critico, e il loro trasformarsi da evento unico, prezioso momento di contatto tra l’interprete e un pubblico appassionato, a un rituale ripetitivo, spesso noioso e comunque per me privo di emozione, mi ha tolto ogni voglia di muovermi alla ricerca dell’eventuale perla rara.
La musica è, quindi, da tempo per me soltanto quella registrata o, comunque, mediata dalla radio e dalla televisione, e me ne accomodo benissimo.
Non penso, tuttavia, che questa mia, molto soggettiva, impressione sia generalizzabile, e i fatti lo hanno provato. Un cd ricevuto recentemente, e la fortunata coincidenza di un viaggio a Parigi al momento giusto, mi hanno permesso di rivivere quelle emozioni che ormai non riapparivano alla memoria che come il ricordo di tempi lontani.
Il cd è Horizon[s] (Orizzonti) e Olivia Gay la geniale violoncellista che ha compiuto il miracolo, nell’ora della prova che ha preceduto il concerto di presentazione del cd.
Raramente mi è accaduto di assistere (qui non si tratta solamente di ascoltare …) a un evento musicale talmente vivo e vissuto dall’interprete. Olivia crede in questa musica, densa di significati e di intenzioni, ed il suo strumento ne libera i contenuti dalla loro apparente osticità, rendendone evidente la drammaturgia (Philippe Hersant), la ricerca quasi giocosa in Arckepek che il pianista jazz e compositore Thierry Maillard ha composto per lei – una musica più “scritta”, al di là dell’impulso dell’improvvisazione – e sopratutto il lirismo onirico del fantastico Concerto del léttone Pēteris Vasks, uno dei più bei concerti contemporanei per violoncello e orchestra.
“Bambina, cantavo in continuazione – racconta Olivia – ma ero troppo timida per pensare di poter divenire cantante …“, è quindi attraverso il violoncello che Olivia ha scelto di esprimere la sua voce interna, capace di esprimere le emozioni per le quali le parole non bastano. Esprimere e condividere: non ho mai visto una solista in così intensa comunione con l’orchestra che l’accompagna. Abitualmente il virtuoso è come chiuso in una bolla, dalla quale comunica appena attraverso qualche scambio di sguardi con il direttore; Olivia è, invece, continuamente tesa verso gli strumentisti che le sono intorno, comunica e partecipa, e l’intensità, l’evidenza della sua interpretazione ne è come amplificata.
Quanto al repertorio del disco, “Era evidente per me la scelta di affrontare percorsi poco esplorati. – ha detto Olivia – Il programma di questo mio primo cd è il riflesso di un momento della mia vita nel quale ho sentito un bisogno di orizzonti vergini, di nuovi incontri musicali, come una transizione tra i miei studi che terminavano ed una più intensa vita professionale.”
Un’artista geniale e una splendida registrazione, insomma, per una solista che ha tanto da farci scoprire (un prossimo cd, con il pianista Aurelien Pontier, la bellissima e poco nota Sonata di Miaskovski ed opere di Sergei Prokofiev, è in preparazione).
Horizon[s]
Concertos: Philippe Hersant, Pēteris Vasks, Thierry Maillard – Olivia Gay: violoncello, Orchestre Pasdeloup, Wolfgang Doerner – Ilona Records (73’43)
Joseph Haydn
“per il Cembalo Solo” – Pierre Gallon: clavicembalo – Encelade (65’)
Sin dalle prime note le sonorità, ricche e piene, giustificano la scelta di questa registrazione, e cioè di adottare il clavicembalo (per la cronaca, si tratta di un meraviglioso strumento di Jonte Knif, costruito su modelli tedeschi della metà del ‘700) per l’interpretazione delle composizioni per tastiera – due Divertimenti, due Sonate, un Capriccio e tre miniature – che Joseph Haydn scrisse tra il 1776 al 1781.
Ancora una volta non entrerò qui nel merito della legittimità di questa scelta: validi argomenti vengono invocati a supporto dei difensori del pianoforte, del fortepiano, del clavicembalo e persino del clavicordo; io credo che più che lo strumento sia il modo di impiegarlo e l’idea che anima l’interpretazione che contino: il pianoforte di Horowitz, per esempio (e soprattutto per Scarlatti), non è quello di Sviatoslav Richter, e quello di Glenn Gould non è quello di Arturo Benedetti Michelangeli. Che vivano e trionfino, quindi, queste scelte originali se non coraggiose, quando sono supportate ed animate da un’intima convinzione, come in questo caso.
Che, pur se men decifrabile, deve aver, peraltro, animato altresì la concezione del video-clip di presentazione del cd. Un altro clavicembalista, Luca Oberti, ha dato l’esempio, qualche tempo fa, col fantasioso video di presentazione del suo cd dedicato Marchand e Clérambault, ambientato in un garage. Per Pierre Gallon si è scelto – chissà perché – un hangar di dirigibili, che, tuttavia e fortunatamente, è servito soltanto scenograficamente: non so quanto l’acustica di un tal luogo sia adatta a mettere in valore il clavicembalo, che, comunque, Gallon fa soltanto finta di suonare. Quel che si ascolta è il risultato dell’accurata registrazione avvenuta nelle ben più adatta acustica dell’Abbazia di Royaumont e, fortunatamente, non c’è neanche traccia di microfoni in prossimità dello strumento a simulare un’improbabile credibilità.
The Golden Violin
Andrey Baranov – Andrey Baranov: violino, Maria Baranova: pianoforte – Muso (75’45)
Dietro un programma di quelli che solitamente esasperano per l’eccesso di esibizionistico virtuosismo e lasciano a bocc’asciutta, delusi come da un discorso incompiuto, si cela un gran virtuoso che ridà a queste musiche tutto il loro significato. Andrey Baranov ha vinto nel 2012 il concorso Regina Elisabetta del Belgio, la competizione che ha consacrato nei suoi 80 anni di vita i più grandi strumentisti, da David Oistrakh ed Emil Gilels – che furono i primi vincitori nel 1937 e 38 – a Leonid Kogan, Vladimir Ashkenazy, Philippe Hirschhorn e tanti altri.
Il virtuosismo di Andrey Baranov è dolce, sottile ed inspirato, non protervo, e non abusa delle difficoltà per farsene vanto, inoltre egli ha ben scelto l’alternanza delle composizioni che illustrano l’evoluzione della scuola violinistica in Europa, dal mitico Trillo del Diavolo di Giuseppe Tartini a Tzigane di Maurice Ravel passando per le musiche di Paganini, Tchaïkovski, Rachimaninov e Debussy.
Accompagnato dalla sorella Maria, Andrey suona un eccezionale strumento dell’inizio dell’800 appartenuto a David Oistrakh, copia del celebre Stradivarius Il Messia.
I brani del cd non sono ancora su YouTube, vi propongo, quindi, all’ascolto una vivace interpretazione dell’“Introduction and Rondo-capriccioso” du Camille Saint-Saens (Andrey Baranov è accompagnato dalla brava pianista Inga Dzektser).
Beethoven
Integrale de l’oeuvre pour violon et piano – Tedi Papavrami: violino, François Frédéric Guy: pianoforte – Evidence – (73’22 + 69’06 + 78’23)
Ancora un gran violinista virtuoso, l’albanese Tedi Papavrami, che dopo aver registrato i capolavori del repertorio – dalle composizioni per violino solo di Johann Sebastian Bach alle Sonate di Eugène Ysaÿe, passando, inevitabilmente per Paganini (che già 9 anni, in pantaloni corti, egli suonava magistralmente) – presenta un’interessantissima integrale delle Sonate per pianoforte e violino di Ludwig van Beethoven.
Un’impresa complessa e impegnativa: oltre alle conosciutissime “Primavera” e “Kreutzer”, due monumenti della letteratura violinistica per le quali il solista deve confrontarsi con numerosissime storiche interpretazioni, ce ne sono altre otto, composte da Beethoven in momenti crucialmente diversi della sua vita – dal 1798 al 1812 – ma che tutte testimoniano la maturità sonora del compositore e, sopratutto, il raggiungimento di un equilibrio nel dialogo dei due strumenti, che per la prima volta si confrontano “alla pari”.
Complice ideale di Papavrami è François Frédéric Guy che, sempre di Beethoven, ha registrato l’integrale delle Sonate per pianoforte di cui vi ho parlato quattro anni fa, e, ancora per Evidence, le Sonate per pianoforte e violoncello con Xavier Philipps.