L’anno discografico si conclude con questa splendida registrazione del metafisico ed inquietante vertice di quel cosmico monumento della musica da camera che sono egli ultimi Quartetti di Ludwig van Beethoven.
Il Quatuor Mosaïques, aveva, già qualche anno fa, registrato per Naïve i primi Quartetti – i sei dell’Op.18 – in una autorevole interpretazione, piena di vitalità e di invenzione. Tredici anni sono passati e Mosaïques, dopo aver altrimenti divagato nel repertorio, da Arriaga a Woelfl, ha scelto, chi sa perché, di dedicarsi – scavalcando i Razumowsky, le Arpe e il Serioso – agli ultimi sei, giustamente considerati tra le massime composizioni musicali di tutti i tempi (da Igor Stravinsky, tra gli altri, che a proposito della “Grosse Fuge” commentò: …il più perfetto miracolo di tutta la musica. Senza essere datata, né storicamente connotata entro i confini stilistici dell’epoca in cui fu composta, anche soltanto nel ritmo, è una composizione più sapiente e più raffinata di qualsiasi musica ideata durante il mio secolo.(…) Musica contemporanea che rimarrà contemporanea per sempre).
Abitualmente, quando si ascolta una nuova interpretazione – che sia in concerto o in disco – di un’opera già nota, la si confronta con l’idea, da qualche parte registrata nella nostra memoria, che noi abbiamo di questa musica (un’idea che è, inevitabilmente, marcata dall’interpretazione che più ci ha impressionato, molto spesso la prima). Ma non credo che lo stesso si possa dire per questi capolavori (penso, naturalmente, al musicofilo appassionato, non al musicista o al musicologo che hanno, indubbiamente, altri supporti di memoria): anche se li abbiamo ascoltati moltissime volte, ed anche se questi Quartetti lasciano comunque un’impronta violenta, radicata, essi sfuggono al confronto, sono ogni volta un’esperienza nuova, in qualche modo traumatica, un nuovo viaggio nella tempesta e nell’affermazione di un’esasperata fedeltà alle proprie convinzioni (in particolare modo la Grosse Fuge, che Christophe Coin, il violoncellista del Mosaïques, definisce “enigmatica nella sua selvaggia perfezione”).
Cosa dire di questa nuova interpretazione del Mosaïques? La ho ascoltata e mi ha colpito come un’appassionata testimonianza, volta sopratutto a rendere la sconfinata varietà di emozioni che percorrono queste opere, da quelle “… tragiche e drammatiche a quelle tenere e amabili o piene di umorismo …” – come scrive il grande pianista Andras Schiff in un bellissimo testo che accompagna la registrazione, paragonando questa musica alle grandi creazioni drammatiche di William Shakespeare. Egli ricorda anche che Artur Schnabel diceva “un capolavoro è sempre al di là dei suoi più grandi interpreti e delle migliori interpretazioni“. Grande verità, e il Quatuor Mosaïques non si pone in competizione, né in contraddizione, con i grandi interpreti di queste composizioni – dal Quartetto Italiano al Vegh – ma ne propone sopratutto una lettura illuminata, che le concepisce quasi come un opus unico, animato da una stessa travolgente genialità.
Il Quartetto no.14 in Do diesis minore op.131 che qui vi propongo all’ascolto non è quello del cd, ma una precedente registrazione della BBC.
Beethoven
The Late Quartets – Quatuor Mosaïques – Naïve (73’ + 50’ + 68’)
La Sonate de Vinteuil
Saint-Saëns, Debussy, Hahn, Pierné – Maria Milstein: violino, Nathalia Milstein: pianoforte – Mirare (66’)
Può accadere di innamorarsi di un cd “a prima vista”? Non lo avrei mai pensato possibile, ed ecco che, per la prima volta nella mia lunga carriera di discofilo mi è accaduto. Misteriosi sono i legami che ci attirano verso la musica registrata prima ancora di averla ascoltata, e che ci inducono all’acquisto di un disco, ed uno di questi è la copertina, sopratutto quand’essa ci reca le immagini, le foto degli interpreti, ma anche il titolo …; ed stato il caso di questo affascinante cd.
Naturalmente, prima di procurarmelo per parlarvene (mi sarebbe sembrato inopportuno parteciparvi i miei privati, personalissimi sentimenti prima di verificarne la condivisibilità attraverso l’ascolto) sono andato a verificare, mediante quei preziosi strumenti che sono Google e YouTube, l’identità e le virtù delle due deliziose sorelle e la loro musica. Scoprendo, innanzitutto, che sorelle non sono (Maria è nata a Mosca, Nathalia a Lione) anche se il loro musicalissimo cognome – e l’esser nate in una famiglia di musicisti russi – le unisce come il loro ritratto – quasi gemelle siamesi – sulla copertina del cd. Poi le ho ascoltate – e le ho viste suonare (il link è qui sotto) – ed il miei sentimenti hanno trovato conferma.
Poi c’è il titolo del cd – La Sonate de Vinteuil – che evoca uno dei misteri della letteratura e della musica più denso di simboli. Si tratta della “petite frase” che, nel primo volume della Recherche di Marcel Proust, folgora il giovane Swann e viene poi ripetutamente evocata lungo tutta l’opera. Queste note dell’Adagio della Sonata per violino e pianoforte di Vinteuil, simbolo dell’amore si Swann e di Odette, sono anche l’indizio che ha tormentato a lungo vanamente critici e musicologi alla ricerca della composizione che aveva ispirato a Proust l’idea di questo artificio narrativo. Un interessantissimo testo di Julie Sanders nel libretto che accompagna il cd ben racconta tutte le ipotesi che, sin dall’apparizione della Ricerca e Proust ancora in vita, furono formulate, concludendo in favore di un’ispirazione multipla, cioè generata da più di un’opera.
La scelta di Maria e Nathalia per il programma del cd esclude la Sonata più sovente indicata come ispiratrice della finzione letteraria – quella di César Franck – preferendole due altre egualmente indiziate, quella di Camille Saint-Saëns e quella di Gabriel Pierné, ed aggiungendo quella di Claude Debussy – anche se essa non figura tra i modelli più verosimili – e due brevi composizioni – L’Heure exquise e À Chloris – di Reynaldo Hahn che di Proust fu grande amico e che vi propongo all’ascolto (su YouTube, troverete altri video di queste affascinanti virtuose).
Maria e Nathalia sono sublimi interpreti, e queste composizioni – dalle più alle meno note – accomunate dal mito ne indossano tutte le sfumature ed i languori della suggestione in una velatura sottilmente proustiana.
Invidio chi di voi potrà, la primavera prossima, ascoltarle in concerto, il 22 aprile a Verona al teatro Ristori, ed il 23 a Trieste.
Johannes Brahms
Clarinet and piano Sonatas, Cello and piano Sonata n°1 op.38 – Nicolas Arsenijevic: saxophones, Françoise Buffet: pianoforte – Indésens (67’36)
Malgrado i suoi poco più di 120 anni di vita (fu brevettato dal Belga Adolphe Sax a Parigi il 21 marzo 1846) il sassofono resta uno strumento “giovane” e dalle molteplici qualità. Da quelle, più evidenti, che lo hanno reso protagonista nel repertorio jazz e “leggero”, nelle fanfare e nelle bande, a quelle, meno note, che gli hanno conferito un ruolo d’onore, anche se circoscritto ad una particolare utilizzazione, quasi solistica, nell’orchestra sinfonica, da Hector Berlioz a Maurice Ravel o Darius Milhaud.
Ma il sassofono si offre anche, da qualche tempo, interessanti escursioni nel repertorio cameristico, grazie alle trascrizioni di opere destinate in origine ad altri strumenti. A lui cugini – come il clarinetto di queste bellissime Sonate di Johannes Brahms (che peraltro, qualche mese dopo la loro composizione, lo stesso Brahms trascrisse per la viola) – o prossimi per la sonorità, vibrante e simile a quale della voce umana, come il violoncello della Sonata n°1 op.38.
Nicolas Arsenijevic è uno straordinario virtuoso, a suo agio nei territori più diversi, dalla creazione contemporanea al repertorio originale per sassofono, le trascrizioni, le musiche tradizionali o il teatro musicale. Accompagnato dalla brava Françoise Buffet al pianoforte, dà di queste composizioni una versione elegante e luminosa, senza scimmiottare gli strumenti originali né perdersi in un’appropriazione eccessivamente idiomatica. Un cd che rivela un singolare interesse al di là dell’originalità della trascrizione.
Tigran Mansurian
Songs and Instrumental Music – Mariam Sarkissian: mezzo-soprano, Julian Milkis: clarinetto, Anton Martynov: violino, Daria Ulantseva: pianoforte, Orchestre de chambre Musica Viva Moscou, Alexander Rudin: violoncello e direzione – Brilliant Classic (68’41)
Un omaggio al paradiso perduto di Tigran Mansurian, uno dei pilastri della cultura armena contemporanea, che, nato a Beyrouth, a 8 anni dovette abbandonare questa capitale viva e cosmopolita per raggiungere con i genitori la triste, mortificante, realtà dell’Armenia sovietica.
Una profonda nostalgia anima, quindi, i Canti paralleli, splendidamente interpretati dalla mezzo-soprano Mariam Sarkissian, come l’intenso Postlude per clarinetto, violoncello e orchestra da camera, in memoria di Oleg Kagan e l’Agnus Dei, anch’esso dedicato al grande violinista russo. L’Agnus Dei, che si articola su tre momenti della messa in latino, ha lo stesso effettivo – pianoforte, clarinetto, violino e violoncello – del Quatuor pour la fin du temps di Olivier Messiaen, e fu scritto su commissione del Festival di Kreuth (in Germania, anch’esso intitolato a Kagan), perché le due opere potessero essere eseguite insieme.
Questa intensa e appassionata interpretazione delle composizioni di Tigran Mansurian è una prima registrazione mondiale.