L’estate è, solitamente, sinonimo di letargo per l’attività discografica. Una buona occasione quindi per guardarsi indietro, dare un’occhiata o, piuttosto, dedicare qualche ora ad ascoltare le novità trascorse e/o sfuggite. Dalle musiche per il salterio – l’antichissimo strumento presente in varie forme e con nomi diversi in tutte le civilizzazioni orientali e mediterranee – al pianoforte haitiano, passando per quello di Beethoven – per essere precisi, si tratta questa volta di un fortepiano – e per la viola da gamba di François Couperin.
Il salterio, che, apparso nel medioevo come strumento utilizzato sopratutto per accompagnare il canto dei salmi, si diffuse poi, con forme e nomi diversi – psaltérion, tympanon, nonca, cithare, santur … -, e le sue più o meno numerose corde – due per ogni nota – in budello, poi metalliche messe in vibrazione dalle dita, da un plettro, da un archetto o da martelletti.
Anche l’impiego si diversificò, dalla musica sacra alla musica di corte ma, alle origini, quasi sempre per l’accompagnamento del canto. Poi, in tempi più recenti il salterio – come la famosa cithare del film Il terzo uomo – ha animato i temi fascinosi della musica folkloristica, sino al saltério mexicano, protagonista di quel folklore e presente in tutte le orchestra popolari.
Le opere che l’ensemble La Gioia Armonica – formato da due grandi, appassionati e sensibili virtuosi, l’ispirata Margit Übellacker al salterio e il mistico e coscienzioso Jürgen Banholzer al clavicembalo e all’organo – presenta in questo originale e, per molti versi, sorprendente cd, non hanno nulla a che vedere con la musica sacra né con il folklore o il canto. Esse illustrano lo stile galante che dilettò nella seconda metà del ‘700 le Corti dell’Italia del nord. Composizioni in gran parte inedite e mai registrate nelle quale il suono delicato del strumento – copia moderna da un originale trentino del 1745 – è incorniciato, sostenuto, accompagnato da quello del clavicembalo o di un affascinante piccolo organo di legno.
Per il Salterio
La Gioia Armonica, Margit Übellacker: salterio, Jürgen Banholzer: clavicembalo e organo – Ramée (78’41)
François Couperin
Suites Royales – Claire Gautrot: viola da gamba, Marouan Mankar-Bennis: clavicembalo – Encelade (76’)
Una sintesi magistrale, poetica e virtuosa, dello stile francese e italiano anima queste Suites Royales naviganti tra l’universo classico della suite di danze e quello più estemporaneo e contrastato delle pièces de caractère e del Troisième Concert Royal scritto per i concerti privati di Louis XIV, il glorioso monarca che tra le tante sue estetiche passioni annoverava quella per la viola da gamba («Cosa c’è di meglio che una viola da gamba?» – sembra proclamasse – e «… due viole da gamba …» era la conclusione consacrata dalla storia).
Le grazie insinuanti delle Gavottes, delle Sarabandes e delle Musettes, il fascino solenne delle Pompes Funèbres (che non hanno niente a che fare con le Pompe Funebri, ma sono meste e gravi celebrazioni) e l’accesa mess’in scena di brani dal misterioso titolo, più o meno evocativo, frequenti nell’opera di François Couperin – come La Chemise Blanche – trovano in Claire Gautrot un interprete raffinata e versatile, a suo agio nelle pieghe, nelle luci e nelle ombre di questa musica complessa e cortigiana. E Marouan Mankar-Bennis la segue ed accompagna, in riguardosa prospettiva, in queste narrazioni destinate a distrarre attraverso la raffinata evocazione di remote atmosfere.
Beethoven
Fortepiano Sonatas – Cyril Huvé: fortepiano – Calliope (57’52 + 51’28)
Cinque delle più famose Sonate che Ludwig van Beethoven scrisse per il pianoforte, cioè per lo strumento che ai suoi tempi si avviava a divenire il pianoforte, con caratteristiche non ancora ben definite, e differenti a seconda del fattore, ma, comunque capace di suonare forte e piano, cioè il fortepiano. E la scelta che Cyril Huvé ha fatto di utilizzare tre fortepiano diversi – tutti contemporanei del compositore – mette in evidenza come la creatività di Beethoven a seguito l’evolvere dello strumento.
Cyril Huvé ha scelto cinque Sonate «a titolo»: Patetica, Chiaro di luna, La tempesta, Waldenstein, Appassionata, quelle nelle quali «Beethoven ‘parle’ en musique pour communiquer une réaction émotionnelle, à l’instar d’un orateur» (parla in musica per comunicare, come un oratore, una reazione emotiva).
Quel che sorprende al primo ascolto di queste singolari interpretazioni è l’inedita sonorità dello strumento (messa nella dovuta evidenza da una registrazione di eccezionale qualità). Sopratutto i momenti e gli accordi più accesi e drammatici – nell’Allegro di molto e con brio della Patetica, per esempio – hanno qui un impatto ben più marcato che al pianoforte, che ne diluisce l’aggressività ai limiti della brutalità. «J’ai toujours trouvé que le piano moderne affadit les harmonies et les modulations par sa masse sonore trop homogène et compacte – ha detto Cyril Huvé – alors que, sur les instruments de construction viennoise du temps de Beethoven, les glissements, ruptures, évolutions et visages d’un thème, au gré de son parcours harmonique, sont tout autres et ré-acquièrent une véracité, un impact, qui laissent dans le vécu une trace incroyablement plus profonde» (Ho sempre pensato che il pianoforte moderno sbiadisce le armonie e le modulazioni a causa della sua massa sonora troppo omogenea e compatta, mentre sugli strumenti di costruzione viennese del tempo di Beethoven, gli slittamenti, le evoluzioni, le rotture ed i differenti volti di un tema, seguendo il loro percorso armonico, sono del tutto diversi e riacquistano una veridicità ed un impatto che lasciano, nel vissuto, una traccia incredibilmente più profonda).
Sono quindi i movimenti di meditazione e riflessione – come l’Adagio sostenuto della Chiaro di luna – o le eleganti transizioni che rendono giustizia al fortepiano e danno pieno significato alla scelta di Cyril Huvé, permettendo di scoprire il Beethoven delle Sonate non dalla distanza delle poltrone di una sala di concerto, ma attraverso una commuovente prossimità.
Reynaldo Hahn
Quatuor Tchalik, Dania Tchalik: pianoforte – Alkonost Classic
Un’iniziativa destinata a far piazza pulita dei luoghi comuni e dei pregiudizi di superficialità che negli anni si sono accumulati sulla musica di Reynaldo Hahn. Grazie a una delle numerose e meritorie iniziative del Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique française – a Venezia, il Quartetto Tchalik, e Dania Tchalik al pianoforte, hanno registrato la musica camera del compositore – ma anche cantante, direttore d’orchestra e critico musicale – di origine venezuelana che fu un protagonista della vita musicale e mondana a Parigi negli anni della Belle Époque, amante di Marcel Proust, poi il suo più fedele amico sino alla morte dello scrittore.
Con naturalezza e spontaneità, ma anche con lo slancio di una illuminata passione, i Tchalik fanno loro un’opera riccamente espressiva dall’architettura solida e singolare al tempo stesso.
I due Quartetti testimoniano del rapporto libero da ogni complesso che Reynaldo Hahn ha saputo instaurare con questa forma principe della musica da camera. Completano il programma il Quintetto con pianoforte, la Romance per violino, le Variations chantantes e le Due improvvisazioni per violoncello e pianoforte.
Célimène Daudet
Haïti mon amour – Célimène Daudet: pianoforte – NoMadMusic (51’18)
Un insospettato universo musicale si schiude all’ascolto di questo affascinante cd. Già vi ho parlato in questa pagina della giovane e valorosa pianista franco-haïtienne Célimène Daudet e delle sue registrazioni, da quella dell’Arte della Fuga di J.S.Bach al disco dedicato alle musiche di Claude Debussy e Olivier Messiaen, nelle quali ha dato prova di una straordinaria e versatile sensibilità.
Oggi Célimène ci propone un programma del tutto personale, intessuto dei legami sentimentali che la hanno portata ad interessarsi alla musica del paese di sua madre. Il mondo sonoro di tre compositori haitiani – Edmond Saintonge (1861-1907), Justin Elie (1883-1931) e Ludovic Lamothe (1882-1953, conosciuto, ai suoi tempi, come «lo Chopin nero») – è in queste opere: Canti della montagna, Elegie, Danze e Fogli d’album, brevi composizioni che nella sensualità della melodia e nell’ondeggiare del ritmo evocano atmosfere, colori e profumi tropicali. Il post-romanticismo europeo non è lontano ma è l’universo vudù che da un’anima a questa musica in cui vibra un’esotica seduzione.