CD e altre musiche di agosto, di F. Nuzzo

Chi ha mai  sentito parlare di Léon Theremin (Lev Sergeevič Termen)? Violoncellista, compositore, ingegnere elettronico ed inventore del Theremin (chiamato anche Thereminvox o Eterofono) e di numerosi sistemi automatizzati, allarmi e dispositivi di sicurezza.

Negli anni 1925-1926 egli inventò anche uno dei primi sistemi televisivi, Dalnovidenie. Ma Theremin  fu sopratutto protagonista di una avventurosa vita he lo portò dal Conservatorio di Mosca ai trionfi Statunitensi, poi alla prigionia nelle miniere d’oro in Siberia e alle imprese spionistiche di alta tecnologia che infestarono per anni l’ambasciata USA a Mosca (su Wikipedia potete trovare la sua movimentata biografia). In attesa che qualcuno scopra le sue inesauribili doti di possibile eroe cinematografico, contentiamoci della riscoperta del Theremin, l’archetipo di tutti gli strumenti elettronici – sintetizzatori, Moog eccetera – che, inventato nel 1919, ebbe ai suoi tempi enorme successo, in concerto o nelle colonne sonore di numerosi film.

Il Theremin è formato da una scatola che contiene l’elettronica (collegata ad un sistema di amplificazione) e da due antenne. La mano destra, variando la sua distanza dall’antenna verticale, determina l’altezza della nota, mentre la sinistra fa variare il volume del suono tramite l’antenna orizzontale, in forma di anello. Clara Rockmore fu la prima grande virtuosa dello strumento, negli Stati Uniti: qui suona Il Cigno di Camille Saint-Sans. Oggi il Theremin ritorna sulla scena grazie Katica Illényi che con l’Orchestra Filarmonica di Győr interpreta il famoso tema scritto da Ennio Morricone per C’era una volta il West di Sergio Leone.


Marta Argerich & Friends  

Live from Lugano 2015 – Warner Classics (68’55 + 69’45 + 79’57)

Incontrai Marta Argerich tantissimi anni fa, quando, per qualche settimana, frequentò i corsi che il divino Arturo (Benedetti Michelangeli) animava in una villa di Rigutino, vicino Arezzo. Nonostante il suo genio e la passione che egli metteva in questo impegno – dedicando ai suoi allievi, che vivevano con lui, in comunità, lunghe, appassionate ore di lezione – Michelangeli non ebbe mai allievi all’altezza del suo insegnamento. Devoti imitatori del Maestro, senza, ovviamente, riuscire a raggiungere l’intensità, l’unicità delle sue interpretazioni, questi pallidi cloni – che di Michelangeli assumevano tutti i tic e gli atteggiamenti – furono bravi pianisti, ma nessuno – tranne, forse, l’argentino Alberto Neumann – si è mai distinto per la sua originalità.

Sembra che con la Argerich l’atteggiamento del Maestro fosse diverso: l’ascoltava a lungo in silenzio, senza mai dirle nulla, tuttavia la giovanissima Marta – come del resto Maurizio Pollini, che frequentò quella scuola dopo un momento di crisi, in cui pensava di abbandonare il pianoforte – capì forse i rischi di quella eccessiva prossimità, e, comunque, abbandonò Rigutino.

Marta divenne poi la leonessa della tastiera che tutti conoscono, con una singolarissima  e complessa identità musicale – se non diametralmente opposta a quella del Mito accostato per qualche giorno – fatta di spontaneità e di invenzione e generatrice di interpretazioni che hanno quasi sempre il fascino di una rivelazione, come una nuova luce su paesaggi già noti.

Da ormai 14 anni Lugano ospita in giugno, per tre settimane, il Progetto Marta Argerich, un festival nel quale la grande virtuosa si unisce a vecchi amici o a giovani talenti musicali che suonano assieme a lei o per lei in un vasto programma concepito come un movimentato e variatissimo brain storming musicale attorno a un’idea conduttrice. Dai numerosi concerti del festival, vien fuori un cofanetto di 3 cd che ne riunisce i momenti più importanti.

L’anno scorso il filo conduttore è stato il repertorio classico dell’Europa centrale, ed il programma va dallo Schubert delle Variazioni op.35 D.813 per pianoforte a 4 mani – che Marta suona con Alexander Mogilevsky, ospite regolare del Progetto, alle Danze popolari rumene di Bela Bartok, per le quali Marta accompagna il violinista Géza Hosszu-Legocky, passando per gli Studi canonici op.56 di Schumann, due Trii di Brahms – quello con clarinetto, op.114 e quello con corno, op.40 (in una trascrizione in cui la viola sostituisce il corno). Ma c’è anche uno sconosciuto gioiello, il Quintetto con pianoforte op.74 di Fernando Ries – una allievo di Beethoven – scritto per la stessa formazione che La Trota di Schubert (violino, viola, violoncello, contrabbasso e pianoforte), il Trio op.76 con pianoforte di Turina e En blanc et noir di Debussy per il quale Marta Argerich è assieme ad un suo vecchio complice, Stephen Kovacevich, ed ancora Poulenc, Alberto Ginestra, Luis Bacalov e Philip Glass.

3 dischi densi di musiche più o meno note, che trovano una nuova vita in questa sorprendente giustapposizione, ed in interpretazioni che hanno tutta la spontaneità della «diretta» e vibrano dell’inesauribile generosità e genialità di Marta, impareggiabile coordinatrice ed animatrice di giovani o confermati talenti.

 Marta Argerich & Friends 2015


Cavanna & Schubert 

Transcriptions de Lieder, Trios avec accordeon n°1 et 2 – Isa Lagarde: soprano, Noëmi Schindler: violino, Anthony Millet: fisarmonica, Atsushi Sakaï: violoncello – NoMadMusic (68’38)

Autodidatta, anche se ampiamente motivato dall’opera e dai consigli di Henri Dutilleux, Paul Méfano e Georges Aperghis, Bernard Cavanna è uno dei protagonisti più affascinanti della scena musicale contemporanea in Francia (egli invoca, del resto, come nume tutelare Nino Rota, che definisce un « Weill latinizzato »). Cavanna è, comunque, affrancato da ogni dogma e, sopratutto, da ogni moda, e manifesta la sua genialità sia nelle trascrizioni – o altre opere di vena popolare o ispirazione romantica – che nelle sue più provocatrici e talvolta aspre – in contrasto con la sua naturale dolcezza – composizioni, ispirate dall’umano dilemma.

Questo singolare cd che NoMadMusic gli dedica ben rappresenta il suo lavoro, confrontando le seducenti trascrizioni di 13 Lieder di Franz Schubert a due sommessi Trii, nei quali la proteiforme fisarmonica di Anthony Millet è associata al violino di Noëmi Schindler ed al violoncello di Atsushi Sakaï.

Spesso, di questi tempi, ho avuto occasione di parlare di registrazioni di Lieder di Schubert trascritti. Il pianoforte che è, all’origine, il complice della voce in queste poetiche narrazioni, volta a volta sentimentali, nostalgiche, drammatiche, è sostituito dagli archi, dal violoncello, dalla chitarra. Questa volta è la fisarmonica – con un violino e un violoncello -, uno strumento ben coerente all’origine popolare e fantastica delle composizioni ed al loro fascino immediato che non ha nessuno bisogno di essere sovraccaricato di timbri e sonorità complesse e sofisticate. In particolar modo Gretchen am Spingarde D.118, An den Mond D.193 ed Am Flusse D.160 se ne giovano. La voce si Isa Lagarde è innocente, leggera e delicata al tempo stesso, e la trascrizione non tormenta le limpide, sognanti narrazioni schubertiane di inutili intorcigliamenti. Una delizia !

 Cavanna & Schubert


Jessye Mebounou  

20th Century Piano – Jessye Mebounou: pianoforte – Calliope (55’40)

Intensa e vellutata, ma soprattutto appassionante per le sue scelte non comuni, la giovane (27 anni) pianista francese Jessye Mebounou propone in questo cd un repertorio sorprendente, praticamente assente dalle sale da concerto e pochissimo rappresentato in disco. Compositori russi, in massima parte, attivi in un’epoca in cui la censura sovietica soffocava inesorabilmente ogni avanguardia e tutte le musiche che, a suo avviso, non rappresentassero gloriosamente le conquiste del regime, e partiture che anche dopo la glasnost restarono, d’altra parte, difficilmente reperibili. Ma Jessye, grazie a numerosi viaggi di studio e perfezionamento in Russia ed Ucraina ed a una lunga collaborazione artistica con pianisti appassionati della musica de paesi dell’Est, ha messo insieme questo programma in cui ogni composizione è una scoperta eccezionale.

Dalla Sonata “Pentimento” di Boris Pigovant – compositore ebreo ucraino -, intessuta di temi popolari ebraici in una dolorosa progressione che Jessye anima di colori e di timbri misteriosi ed evocativi, in una tensione mai rilasciata, alla Sonata n°2 di Samuel Feinberg, dalla scrittura ricca e virtuosa, certamente influenzata da Busoni e Scriabin, attraverso le opere dell’inglese William Baines (il solo compositore occidentale presente), del pre-minimalista Arthur Lourié, ed i sereni, agili e movimentati Preludi op.44 di Boris Lyatoshynsky (anch’essi abitati da temi popolari, questa volta ucraini)

Un programma ed un repertorio tutto da scoprire.

 Jessye Mebounou

Ferruccio Nuzzo: Dopo una lunga e distratta carriera di critico musicale (Paese Sera, Il Mondo), si è dedicato alla street photo, con una specializzazione ecclesiastica. Vive in campagna, nel sud-ovest della Francia, ove fiere e mercati hanno sostituito cattedrali e processioni. Continua, tuttavia, a mantenere contatti con il mondo della musica, soprattuto attraverso i dischi, e di queste sue esperienze rende conto nella rubrica "La mia Musica. Suggerimenti d'ascolto".
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