Il referendum sull’indipendenza della Catalogna di domenica 1° ottobre è sfociato nel caos, con scontri di piazza, numerosi feriti e crescenti tensioni tra Madrid e Barcellona. La domanda posta agli elettori nella scheda era molto precisa: “Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?”. In queste ore tuttavia gli avvenimenti si susseguono a ritmo frenetico e sul piano politico, economico e giuridico sono ancora incerte le conseguenze di ciò che sta accadendo in queste ore.
Secondo alcuni giuristi spagnoli lo svolgimento del referendum non sarebbe direttamente incostituzionale, mentre lo sarebbe una dichiarazione di indipendenza. All’articolo 2 del suo Titolo preliminare, infatti, la Costituzione repubblicana del 1978 sancisce che i suoi principi si basano sulla “indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli”. Qualcosa di molto simile si legge nell’articolo 5 della Costituzione italiana, dove si dichiara che la Repubblica è “una e indivisibile”. Interpretando in maniera estensiva la Costituzione spagnola, tuttavia, il Tribunale costituzionale di Madrid ha preso una posizione netta anche in merito allo svolgimento del referendum: ha dichiarato incostituzionale la precedente consultazione svoltasi nel 2014, facendo altrettanto lo scorso luglio e di nuovo a settembre con questo secondo voto. A complicare le cose, a inizio settembre il Parlamento catalano ha approvato una legge sul referendum che, in caso di vittoria del “sì”, impegnerebbe il Parlamento stesso a dichiarare l’indipendenza della regione entro 48 ore dalla conferma definitiva del risultato.
I catalani favorevoli all’indipendenza pensano che la regione supererebbe con slancio tutte le conseguenze di breve periodo dovute alla transizione verso l’indipendenza. I sostenitori del “sì” possono per esempio citare una disoccupazione inferiore a quella spagnola (13% contro 17%) e un’economia che è cresciuta in misura leggermente superiore alla Spagna nel suo complesso dopo la doppia recessione del 2009–2012. Tuttavia, in caso di effettiva indipendenza la regione andrebbe incontro a molti rischi, primo tra tutti il fatto di ritrovarsi al di fuori dell’Unione europea e senza alcuna speranza di potervi fare nuovo ingresso, almeno sul breve periodo. Per poter effettuare l’accesso in Ue sarebbe infatti necessario ottenere l’approvazione di tutti gli Stati membri, ed è evidente che quantomeno il governo spagnolo si opporrebbe a un semplice ritorno della Catalogna nell’Unione. Una Catalogna fuori dall’Ue si troverebbe a dover affrontare almeno tre grandi problemi. Il primo sarebbe la perdita dell’accesso al Mercato unico, per cui sulle esportazioni catalane verso la Spagna e gli altri paesi Ue si applicherebbero i dazi europei (secondo le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio). Anche
Il clima acceso delle ultime settimane ha polarizzato l’opinione pubblica. Resta il fatto che, secondo i più recenti sondaggi, nell’elettorato catalano favorevoli e contrari non sarebbero molto distanti in termini di voti e gli indecisi (oltre il 20%) sarebbero ancora determinanti. Tuttavia le cose cambiano se si considera solo coloro che effettivamente si recherebbero alle urne. Va infatti ricordato che l’affluenza a un referendum dichiarato incostituzionale è di solito molto bassa (nel 2014 aveva votato tra il 37% e il 42% degli aventi diritto), e che i favorevoli all’indipendenza tendono ad andare a votare in massa. Per questo, nonostante i sondaggi che prendevano come campione di riferimento l’intera popolazione catalana fossero altrettanto incerti, il risultato del 2014 aveva visto un 81% dei votanti esprimersi a favore dell’indipendenza. E benché le peculiarità del referendum che dovrebbe tenersi il 1° ottobre complichino notevolmente la possibilità di fare pronostici attendibili, i sondaggi sembrano indicare che, tra chi si dichiara sicuro di andare a votare, circa il 60%–70% si esprimerebbe a favore dell’indipendenza.
Fonte: ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale