“Nell’area del Mediterraneo allargato permane, anche nei primi mesi del 2017, un’alta conflittualità intra-regionale. La riduzione del controllo territoriale e militare da parte dello Stato islamico sui principali contesti di crisi è l’elemento più significativo dell’evoluzione del contesto regionale. Nonostante la fragile tregua negoziata da Russia, Turchia e Iran, la soluzione del conflitto siriano appare ancora lontana. La divergenza di interessi e obiettivi delle fazioni in campo e dei loro sponsor regionali e internazionali rende complessa la composizione della crisi e mette una pesante ipoteca sulla prospettiva di ricostruire un paese unitario. Incertezza pesa anche sul futuro dell’Iraq, dove l’imminente caduta di Mosul mette a nudo la frammentazione politica del paese secondo linee di faglia etno-settarie, germi di nuova conflittualità. In Libia permane l’impasse del processo politico interno, mentre si acuisce la polarizzazione tra le due parti di un paese in larga misura nelle mani della variegata compagine delle milizie. Al contempo aumenta l’influenza degli attori esterni, in particolare della Russia sempre più presente nei diversi teatri regionali.
Al di là dei contesti di crisi, nei prossimi mesi importanti consultazioni referendarie ed elettorali sono attese in tre paesi chiave della regione – Algeria, Iran e Turchia – con implicazioni che in alcuni casi vanno ben oltre l’assetto interno.
Se in Algeria il risultato delle elezioni legislative attese per inizio maggio non dovrebbe avere un forte impatto sugli equilibri politici interni, l’appuntamento elettorale ha fatto riaffiorare tensioni politiche e sociali che si sono aggiunte alle incertezze che ormai da tempo attraversano il paese, prima tra tutte l’incognita relativa alla successione all’anziano presidente Bouteflika.
Sul fronte iraniano, mentre si sta definendo il quadro dei candidati alle presidenziali del 19 maggio, uno dei fattori che potrebbe influire di più sull’esito elettorale sembra essere la percezione dei risultati dell’accordo nucleare. Se il voto di maggio si decidesse solamente sulle ricadute positive dell’accordo sull’economia del paese e il benessere dei cittadini, sarebbe lecito dubitare che l’attuale presidente Rouhani possa riconfermarsi. Ma sulla base di altre considerazioni – mancanza di un candidato credibile nel fronte conservatore e rinnovata presenza di un nemico esterno, gli Stati Uniti di Trump, che potrebbe portare le diverse fazioni politiche iraniane a convergere su Rouhani – è assai probabile la sua conferma per un secondo mandato.
In Turchia il voto per il referendum costituzionale di metà aprile risulterà cruciale per il futuro assetto politico del Paese. Sebbene ci sia ancora forte incertezza sul risultato in un Paese altamente polarizzato, la vittoria del “sì” sulla riforma voluta dall’attuale governo trasformerebbe la Repubblica turca in un sistema presidenziale, un “one man rule” che, in una situazione di erosione del sistema di checks and balances e del principio di ripartizione dei poteri dello stato, rischia di consolidare la deriva autoritaria in atto negli ultimi anni.
Instabilità politica e socio-economica e forte contrapposizione tra governo e opposizioni politiche da un lato e società civile dall’altro, soprattutto dopo l’introduzione di nuove norme che ledono ulteriormente le libertà civili e di espressione, continuano a caratterizzare l’Egitto del presidente al-Sisi. A ciò si aggiunge il difficile controllo del territorio, in particolare nel Sinai e nel deserto occidentale dove è più radicata la presenza di gruppi jihadisti. Sul fronte internazionale l’elemento caratterizzante negli ultimi mesi è il rafforzamento della partnership con la Russia.
In Israele il governo di Netanyahu sembra riuscire a proseguire nel suo mandato nonostante emergano le differenze nell’eterogenea compagine di governo in merito alla linea politica da adottare riguardo alla questione territoriale. Differenze che scuotono il primo ministro che non appare più così solido sia a causa delle accuse di corruzione nei suoi confronti sia per il profilarsi di ipotesi alla sua successione. Sul piano esterno, la ridefinizione delle relazioni con l’amministrazione Trump e il rinato dialogo strategico con la Russia su diversi dossier regionali e internazionali sono gli elementi distintivi della politica estera di Tel Aviv.
Sul versante nordafricano, il Marocco si presenta come l’area di maggiore stabilità. A fine marzo il compromesso per la formazione di un nuovo governo di coalizione ha permesso di superare lo stallo politico che aveva bloccato il paese per oltre cinque mesi. Sul piano internazionale, il suo ritorno nell’Unione africana dopo 33 anni è la manifestazione più evidente dell’intenzione del Paese magrebino di espandere la propria influenza nell’Africa sub-sahariana e di rafforzare il ruolo di ponte tra l’Europa e il continente africano.
Non da ultimo, la Tunisia è l’unico Paese dell’area a proseguire nel difficile processo di democratizzazione post Primavera araba. Tuttavia, il panorama rimane altamente frammentato e l’instabilità politica rappresenta un serio ostacolo all’attuazione delle riforme socio-economiche necessarie per risolvere i cronici problemi del paese. La sicurezza interna e la lotta al terrorismo jihadista rimangono una priorità per il Paese dove il rischio di una destabilizzazione per effetto di eventuali nuovi attacchi terroristici resta alto”.
Così si legge nel terzo numero del “Focus trimestrale sul Mediterraneo allargato” realizzato da ISPI per l’Osservatorio di politica internazionale, promosso dalla Camera dei Deputati, dal Senato e dal Ministero degli Esteri. Una pubblicazione che suggeriamo ai nostri lettori. Leggete l’intero documento qui