Domani prenderà il via a Rio de Janeiro la XXXI edizione dei Giochi olimpici (5-21 agosto), durante i quali il Brasile tornerà ad essere al centro del mondo. Il paese si troverà ad affrontare questo evento tra molteplici difficoltà. Sempre nel mese di agosto, infatti, il Senato voterà sull’approvazione in via definitiva della procedura di destituzione di Dilma Rousseff dalla presidenza della repubblica, avviata lo scorso maggio a seguito delle accuse della magistratura di aver “ritoccato” i conti pubblici. La vicenda rischia di cambiare ulteriormente il corso politico del paese, già attraversato da forti tensioni sociali sfociate nei mesi scorsi in proteste di piazza anche a seguito degli scandali legati a Petrobras e Odebrecht, le principali aziende di stato alle quali si aggiungono l’estesa crisi economica e la crescente allerta terrorismo, comprovata dalla recente affiliazione di un gruppo brasiliano alla causa globale jihadista. Il prossimo inquilino di Planalto, sia essa la Rousseff o l’attuale presidente ad interim Temer, sarà dunque chiamato a rispondere ad una serie di questioni di cruciale importanza: rilanciare la crescita, ma risanando le finanze pubbliche, attuare una decisa lotta alla corruzione e gettare le basi per una riforma condivisa del sistema politico. L’ennesima prova di maturità politica, economica e istituzionale per il Brasile e la sua immagine di eterno “paese del futuro”.
Il futuro incerto del Brasile, secondo Carlos Malamud
(Research Fellow del programma America Latina al Real Instituto Elcano e professore ordnario di Stora delle Americhe alla Universidad Nacional de Educación a Distancia (UNED), Madrid.
“Sul finale agostano, poco dopo il termine della XXXI edizione dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro (5-21 agosto), il Senato brasiliano sarà chiamato a decidere sull’approvazione del procedimento di destituzione di Dilma Rousseff. Pochi giorni prima, più precisamente il 16 agosto, comincerà ufficialmente la campagna elettorale per le elezioni municipali del prossimo 2 ottobre. Due eventi distinti ma parimenti fondamentali per il futuro politico nazionale. Se il risultato sul voto di impeachment dirà chi governerà il Brasile nei prossimi due anni, il risultato delle elezioni locali permetterà invece di valutare attentamente la reazione sociale del paese di fronte ai numerosi fatti accaduti e di come le stesse istituzioni si porranno in un’ottica di breve periodo nei confronti di tutto ciò, considerando anche le consultazioni presidenziali del 2018.
Affinché tale scenario possa avverarsi e in osservanza del regolare procedimento costituzionale– fino a oggi seguito scrupolosamente – sarà necessario aspettare il verdetto politico che il Senato brasiliano, presieduto per l’occasione dal presidente della Corte suprema federale, dovrà emettere, votando con la maggioranza qualificata dei 2/3 nelle prossime settimane. Almeno 54 degli 81 senatori dovranno appoggiare le accuse di “responsabilità diretta” in materia fiscale avanzate nei confronti della Rousseff.
Nel mese di maggio appena passato, la mozione di sfiducia elaborata dalla Camera dei deputati fu votata da 55 senatori, poiché era richiesta soltanto la maggioranza semplice. La soglia da raggiungere in Senato dà un’idea delle grandi difficoltà che Rousseff e il suo Partito dei lavoratori (Pt) hanno dovuto affrontare per evitare una condanna e rimanere al potere.
In caso di successo della procedura di destizione nei confronti di Rousseff, il voto previsto per fine agosto concluderà in maniera definitiva il mandato del governo petista. Michel Temer, il suo vice presidente e dal 12 maggio scorso capo di stato ad interim, continuerà a guidare il paese fino al 31 dicembre 2018. In caso contrario, se tale mozione non dovesse passare, Rousseff tornerebbe nel pieno delle sue funzioni. Una possibilità concreta ma poco auspicabile. Infatti, dinanzi a uno scenario del genere le istituzioni potrebbero andare incontro a un periodo di grande instabilità, dato che la campagna sul procedimento di impeachment ha portato alla rottura della coalizione di governo strutturata intorno al Pt e al Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb).
In queste condizioni, inoltre, il Pt sarebbe in minoranza in parlamento e con un presidente fortemente contestato dai cittadini e, quindi, con poca legittimità per affrontare i necessari cambi di passo volti a stabilizzare e, in un secondo momento, a rilanciare l’economia. Vi è un altro elemento da tener in considerazione, relativamente sia alle aspettative del Pt sia alla volontà di Lula da Silva di tornare ai vertici di Planalto nel 2018. Il rischio infatti è che Lula o qualunque altro candidato petista possano pagare la scotto politico ed economico di un eventuale ritorno della Rousseff.
Secondo un sondaggio di Datafolha (metà luglio), sebbene gli indici di gradimento nei confronti di Temer e Rousseff siano molto simili (pertanto molto bassi), la maggioranza dei brasiliani (50%) preferirebbe tuttavia che il Pmdb terminasse il mandato elettorale, piuttosto che il Pt (32% delle preferenze). La stessa inchiesta sottolinea come soltanto il 14% ritienga il governo Temer capace, il 31% lo definisce inadeguato e ben il 42% in linea con i predecessori. Se confrontiamo questi dati con quelli dell’aprile scorso, notiamo che prima dell’assunzione dell’incarico da parte di Temer, la percentuale di apprezzamento nei confronti della Rousseff e del governo fosse del 13%, mentre il 65% considerasse l’operato dell’esecutivo inefficiente.
Come si è giunti a questa situazione, allo stato di accusa contro il presidente, se nel settembre-ottobre 2015, nonostante l’emergere di imporanti dettagli della magistratura inquirente ci fu un certo consenso di tutte le parti politiche in causa per portare a termine il mandato presidenziale? Alla base di ciò vi è da un lato la mancanza di capacità politica e negoziale della stessa Rousseff, poco propensa ad accordi politici mirati a tenere insieme la coalizione di governo, come invece hanno dimostrato gli ex alleati del Pmdb, tra i primi a guidare le fila del fronte pro-impeachment. Dall’altro lato, vi è un diffuso discredito nei confronti del sistema politico brasiliano, a partire dai partiti e dai rispettivi leader, seguito a un grave scandalo di corruzione montato intorno Petrobras e conosciuto con l’inchiesta Lava Jato(Autolavaggio).
Emerge dunque il quadro di un Paese in crisi e alle prese con tre differenti tipologie di emergenze.
In primo luogo una crisi economica, segnata dalla forte crescita negativa del Pil, che si è contratto del 3,8% nel 2015 e prevede una recessione simile nel 2016. Questa situazione è accompagnata da un forte deficit pubblico, da un’inflazione che ha superato tutte le previsioni e da una disoccupazione che ha raggiunto dati sconcertanti. Rispetto ad altre crisi del passato, questa non è stata causata da fattori esterni e ha trovato nelle fragilità del settore finanziario e dell’apparato produttivo la propria valvola di sfogo. Secondo alcuni analisti la recessione economica ha già toccato il fondo e dopo un periodo di stabilizzazione potrebbe iniziare un certo recupero. Ma per garantire un rilancio dell’economia sarà importante che il governo riesca a mettere in ordine i conti pubblici e a disciplinare l’elevato deficit di bilancio negli ultimi tempi.
In secondo luogo, ci troviamo dinanzi a una crisi politica che mina la legittimità stessa del sistema. Gli effetti dell’inchiesta Lava Jato sono già ora devastanti. La fiducia nei partiti, nei loro leader e nelle istituzioni è precipitato a livelli allarmanti. Solo la magistratura viene considerata un’istituzione ancora sana, a causa soprattutto del suo incedere costante nella lotta alla corruzione. La destituzione di una screditata Rousseff, sostituita con una figura altrettanto compromessa come quella di Temer, non ha aiutato l’immagine politica del sistema brasiliano.
In queste circostanze soltanto nuove elezioni potranno permettere al governo brasiliano, qualsiasi esso sia, di poter recuperare la legittimità perduta. Tuttavia queste si dovrebbero svolgere non prima del 2018, salvo decisioni diverse della Corte suprema federale che dovrebbe emettere un verdetto sulla questione del finanziamento illecito della campagna elettorale 2014. Se ciò dovesse accadere, sia Rousseff sia Temer saranno interessati dalla sentenza in questione e lo scenario di instabilità diventerebbe reale con un ritorno alla presidenza della stessa Rousseff. Pertanto per giungere a un reale cambiamento sarà necessario affiancare alle elezioni anche una profonda riforma del sistema politico brasiliano. Un’eventualità, questa, che sembra essere improbabile considerando l’attuale conformazione del parlamento di Brasilia.
Ultimo fattore di crisi, ma non meno rilevante, è quello riguardante la morale in politica, messa abbondantemente in secondo piano da una corruzione diffusa. Il Brasile ha bisogno di ricostruire le proprie istituzioni in un processo che durerà diversi anni e dal quale dipendono in gran parte le sorti delle classi medie, le quali sono state le grandi beneficiarie del boom economico degli ultimi anni. In questo percorso, la giustizia è diventato il più potente simbolo di rigenerazione, che richiede però un maggior coinvolgimento e un impegno più attivo delle organizzazioni della società civile.
Il quadro che emerge, dunque, non si presenta semplice, ma il Brasile ha le risorse economiche e sociali necessarie per proseguire in questo “nuovo” percorso di successo. Ciò richiederà un atteggiamento più realista da parte delle élite economiche, politiche e sindacali, le quali hanno vissuto al margine del mondo globalizzato, pensando solo che bastasse l’inarrestabile ascesa cinese o l’alto prezzo delle materie prime. Questa fase storica è ormai finita ed è giunto il momento di aprire un nuovo capitolo. In questi termini risiede la sfida principale per il Brasile, la società e il governo, che dovranno rendere compatibile la coerente ripresa economica con i processi di rigenerazione etica e politica di un paese duramente colpito”.