Uno studio internazionale ha spiegato come la presenza di alluminio nel suolo possa “avvelenare” le piante. Gli effetti dannosi dell’alluminio sono noti sin da inizio Novecento, ma le ragioni alla base della sua tossicità per i vegetali non erano mai state comprese fino in fondo.
Adesso, una ricerca internazionale ha mostrato in che modo questa reazione avvenga. Grazie a una combinazione di tecniche e all’utilizzo del microscopio TwinMic, che usa la luce di sincrotrone di Elettra, situato all’interno dell’Area science park di Trieste, il team di ricerca ha “fotografato” per la prima volta le modalità d’accumulo dell’alluminio nelle radici dei semi di soia, in funzione dei tempi di esposizione.
Lo studio ha dimostrato che gli effetti tossici dell’alluminio sono estremamente rapidi, esercitandosi già a partire dai primi cinque minuti di esposizione al metallo e sono dovuti a un’inibizione diretta dell’allungamento di determinate cellule situate all’apice della radice e direttamente responsabili della sua crescita.
“Utilizzando TwinMic e la tecnica della fluorescenza ai raggi X – commenta Alessandra Gianoncelli, ricercatrice di Elettra – siamo riusciti a ottenere una serie di mappe chimiche, che hanno evidenziato come l’alluminio si concentri nelle pareti di queste cellule, impedendone l’allentamento e l’allungamento necessari. In questo modo le radici non possono crescere e la pianta non potrà accedere all’acqua e ai nutrienti necessari per portare a termine il ciclo riproduttivo”.
“Questo studio – commenta Peter Kopittke dell’Università australiana del Queensland, primo autore della pubblicazione – è una chiave importante per la corretta costruzione di strategie atte a contrastare la perdita dei suoli agricoli. Una possibile soluzione per tutelare la produzione agricola passa infatti attraverso la produzione di colture più resistenti all’alluminio. A questo scopo la conoscenza dei meccanismi d’accumulo e d’azione del metallo, a livello cellulare e subcellulare, è di fondamentale importanza”.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Plant Physiology, ha visto la collaborazione di Università del Queensland (Australia), Università dell’Australia del Sud, Università di Oxford ed Elettra Sincrotrone nell’Area science park di Trieste.