Si sente sempre parlare della crescita economica e di come sia necessaria per il nostro Paese. Cosa significa crescita in economia? Molto semplicemente, si può cominciare a dire che in economia la crescita si misura utilizzando il PIL (Prodotto Interno Lordo), che cresce quando la produzione interna (anche ottenuta attraverso capitali stranieri) aumenta.
In genere si considera che l’aumento del PIL sia un segnale di sviluppo, e cioè sia il segnale che stiamo accumulando ricchezza che può essere utilizzata per migliorare il benessere e non più soltanto per la sopravvivenza. Soprattutto dopo la rivoluzione industriale ci sono state moltissime innovazioni che hanno permesso la crescita dell’ aspettativa di vita, la diminuzione della mortalità infantile, la possibilità per un numero crescente di persone di avere tempo libero da impiegare nello studio, nei viaggi, nella cultura in generale.
Ricchezza è per esempio la possibilità di possedere beni e di usare servizi, e da qualche diecina di anni a questa parte si può dire che sia cresciuta per fasce via via sempre più ampie della popolazione. E questo è stato possibile perché l’economia cresceva. Infatti, come spiega in modo semplice la figura qui di seguito, tratta dall’interessante sito dell’americana, Gail Tverberg, se l’economia cresce, cresce il valore dei capitali che possediamo, aumentano gli stipendi e le offerte di lavoro. Aumenteranno anche i prezzi delle case e la quantità di tasse che un governo può raccogliere. Per esempio, comperare una casa con un mutuo inizialmente sarà un impegno gravoso, ma col tempo il mutuo peserà sempre meno sul nostro stipendio, che continuerà a crescere.
Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, quando siamo nati noi che adesso abbiamo i capelli grigi, l’economia nei Paesi più avanzati era proprio in una fase di questo tipo; in quel periodo, anche la popolazione in Europa e negli Stati Uniti è cresciuta molto in fretta. Della nostra generazione si parla come dei “baby boomers”. Quindi si può dire che alla crescita economica si è unito anche un aumento della popolazione. Quando invece l’economia attraversa una fase di contrazione, gli investimenti non rendono – o rendono poco; gli stipendi non crescono; molti restano disoccupati, e i mutui tendono a diventare più onerosi man mano che passa il tempo.
Le fasi di crescita e di contrazione in genere si alternano, ma nella seconda parte del secolo scorso sicuramente la crescita ha avuto il sopravvento, e non solo nei Paesi ricchi. Grazie alla cosiddetta globalizzazione, e al commercio tra Paesi anche molto lontani tra loro, la crescita economica ha interessato tutto il mondo, e insieme alla crescita è aumentato il benessere. Anche se rimangono molte differenze, in tutti o quasi i Paesi del mondo è aumentata l’aspettativa di vita, la possibilità di studiare e tanti altri indicatori di benessere. Ne è la prova appunto la crescita molto veloce della popolazione, che dipende da diversi fattori: l’aumento delle nascite, la diminuzione della mortalità infantile, e l’aumento della durata della vita. Tutti indicatori di una migliore assistenza sanitaria, di una migliore qualità del cibo e così via.
Per molto tempo abbiamo pensato che tutto questo potesse andare avanti all’infinito: più o meno velocemente, tutti i diversi Paesi avrebbero raggiunto un livello di benessere pari al nostro e una buona qualità della vita. Ultimamente, però, sembra che qualcosa non funzioni in questa visione.
Ultimamente la crescita è rallentata, soprattutto nei Paesi ricchi, e questo ci fa piuttosto paura. È vero che l’economia non riesce a crescere? Che alternative ci sono? Uno degli obiettivi di questa rubrica è quello di aggiungere al quadro qualche informazione in più, cercando di far vedere come l’economia è correlata con l’energia e con i problemi ambientali.
L’economia della crescita, infatti, è diventata così importante e pervasiva nella nostra vita solo di recente, soprattutto da quando, con la rivoluzione industriale, abbiamo cominciato a utilizzare in modo diffuso le macchine che trasformano l’energia.
I motori ad esempio, che trasformano l’energia termica in energia meccanica. Le macchine oggi svolgono gran parte del lavoro che una volta veniva svolto dalle persone e dagli animali domestici. L’uomo primitivo che andava a caccia doveva essere forte e in forma: quindi doveva aver mangiato abbastanza, per avere l’energia necessaria a catturare la sua preda. Se non riusciva a prenderla, aveva sprecato energia; e se avesse continuato a sprecare energia, senza avere successo nel catturare la preda, non sarebbe sopravvissuto. In altri termini, occorreva che l’animale catturato fornisse più calorie di quelle che l’uomo aveva utilizzato per la cattura.
È interessante fare un paragone con il cibo che otteniamo oggi con l’agricoltura intensiva: un contadino che coltiva un grosso pezzo di terra stando nella cabina con aria condizionata del suo potente trattore – e utilizzando tutti i moderni prodotti che gli permettono di avere un’ottima resa e di sconfiggere gli insetti e i parassiti – secondo alcuni studi consuma 10 calorie di energia per ogni caloria di cibo prodotta[1]. Questo contadino non deve faticare molto: il lavoro viene fatto soprattutto dal potente trattore. Ed è anche abbastanza sicuro del risultato. Tutto questo può avvenire perché abbiamo a disposizione molta energia a basso prezzo. Che si tratti di combustibili fossili, o di altri tipi di energia, la nostra capacità di utilizzarla e di trasformarla ci ha permesso, soprattutto negli ultimi decenni, di aumentare moltissimo il nostro benessere e quindi di continuare a crescere. Ma ci stiamo cominciando ad accorgere che le risorse non sono infinite. Ne parleremo ancora.
Per seguire il tema ecco un link a Pavia 1 Tv, dove l’Ing. Gabetta interviene ogni sabato sera in diretta:
[1]Vedere: Energy Use in the U.S. Food System, United States Department of Agriculture, Economic Research Service Report Number 94, March 2010, disponibile in rete