Uno degli effetti immediati della pandemia di Covid 19 è stata la diminuzione drastica del consumo di petrolio, che ha provocato anche il calo del prezzo, in un momento in cui era in corso una “guerra dei prezzi” tra Russia e Arabia Saudita, di cui abbiamo già parlato qualche tempo fa. Per noi consumatori, potrebbe essere una buona notizia. Con tutti i problemi che ci ha causato la pandemia, l’abbassamento del prezzo del petrolio potrebbe corrispondere alla diminuzione di molti altri prezzi, tra cui ad esempio quello del cibo, che sarebbe utile soprattutto a tutti coloro che hanno perduto il lavoro o sono in difficoltà.
La questione, però, è un po’ più complicata. Proviamo a fare qualche considerazione cominciando proprio dall’agricoltura e il cibo. Abbiamo già visto che il petrolio, o meglio i combustibili fossili in generale, sono molto importanti nella produzione di cibo. L’agricoltura utilizza i combustibili fossili in grandi quantità. Petrolio e gas sono materie prime per produrre fertilizzanti e pesticidi, e vengono usati come energia a basso costo in tutte le fasi della coltivazione: dalla semina al raccolto attraverso l’irrigazione e la concimazione, e in seguito per trattare, confezionare e distribuire i prodotti. Va aggiunto che i combustibili fossili sono essenziali per la costruzione e la manutenzione di tutti i macchinari e le infrastrutture che servono per la produzione di cibo, come appunto i macchinari usati nelle fattorie, nell’industria alimentare, nella conservazione, e poi per strade, camion e navi adibite al trasporto di cibo.
Proprio grazie ai combustibili fossili, quindi, si può produrre cibo in abbondanza e a buon prezzo. Probabilmente alcuni di noi Pantere Grigie possono ricordare – forse ce lo hanno raccontato i nostri nonni – che un secolo fa il cibo era molto più costoso di adesso, in proporzione ai salari delle persone che lavoravano. E nonostante quello che molti dicono, un secolo fa soltanto pochi potavano avere una dieta ricca e variata. Molti dovevano accontentarsi di cereali (pane, pasta, riso, polenta…) e di qualche prodotto di stagione.
L’altra faccia della medaglia è che si produce cibo in eccesso. Già nel 2013 Imeche (Institution of Mechanical Engineers) ha pubblicato un rapporto nel quale si sostiene che “Attualmente si butta via fino al 50% di tutto il cibo prodotto. Gli ingegneri sono chiamati ad agire per promuovere un modo sostenibile di ridurre lo spreco nel passaggio dalla fattoria al supermarket e al consumatore”.
Il rapporto tra prezzo del petrolio e disponibilità di cibo è illustrato nella figura qui sopra, tratta da un rapporto di cui ho già avuto occasione di parlare ( Geological Survey of Finland, 22.12.2019, “Oil from a Critical Raw Material Perspective”). Qui si considerano due possibili situazioni: in un caso, rappresentato dai rettangoli blu, si vede quello che potrebbe accadere se il petrolio, pur essendo disponibile, aumenta di prezzo: il prezzo del cibo aumenterà e questo porterà a una situazione di disagio sociale, perché i poveri non potranno acquistarne a sufficienza. Ma se il prezzo del petrolio diminuisce? A quanto ci dice l’autore del rapporto, potrebbe avvenire qualcosa di molto simile – che non ci aspettiamo. I rettangoli verdi rappresentano la situazione in cui il prezzo del petrolio diminuisce: in questo caso le aziende petrolifere non potranno più investire nella ricerca di nuovi giacimenti, e la disponibilità di petrolio scenderà al di sotto di quello che serve per sostenere la produzione di beni, tra cui soprattutto il cibo. Infatti, dato che i combustibili fossili sono indispensabili per l’agricoltura moderna, se la disponibilità di petrolio dovesse diminuire, la disponibilità di cibo ne potrebbe risentire.
Naturalmente, qualcuno dirà: “Meglio così, il mondo deve imparare a fare a meno dei combustibili fossili”. Il ragionamento in apparenza è corretto, però tutto questo non potrà avvenire senza che il benessere delle persone ne risenta pesantemente. Certamente nei Paesi ricchi potrebbe essere possibile rinunciare a una parte di benessere senza particolari danni, ma abbiamo visto che per i Paesi poveri – e per la fascia più povera degli abitanti dei Paesi ricchi – si potrebbe prospettare un problema di disponibilità di cibo. Mi piacerebbe avere il parere di un esperto in economia, anche perché ho l’impressione che attualmente ci troviamo in una fase di “economia circolare”, intesa come “circolo vizioso”. Occorre che i Paesi ricchi consumino molto, per aiutare la crescita dei Paesi più poveri, dove sono state localizzate tutte la maggior parte delle produzioni di beni. Abbiamo già avuto in passato tanti segnali che ci dicono come tutto questo non sia sostenibile; il difficile è capire come si possa trasformare il circolo vizioso in circolo virtuoso, prima che le conseguenze sul piano sociale ci sfuggano di mano.