Gli imballaggi servono, ad esempio, per facilitare il trasporto di frutta o verdura. O per imbottigliare l’acqua. Ma per il mondo e per la sostenibilità tutto questo è un danno. E, nonostante la raccolta differenziata, è difficile riciclarli
Già nel 1979 gli Stati Uniti erano definiti “il Paese degli imballaggi”. Un’anticipazione di qualcosa che dopo qualche tempo si sarebbe verificata anche in Italia. Oggi ad esempio capita spesso di ascoltare pubblicità del CONAI – Consorzio Nazionale Imballaggi – che sottolinea le capacità italiane nella produzione e nel riciclo degli imballaggi; e di come gli imballaggi aumentino il PIL del Paese e diano lavoro a molte persone. Anche senza considerare la pubblicità, basta guardarsi intorno, oppure sistemare gli acquisti dopo una spesa al supermercato, per rendersi conto della quantità di imballaggi che dobbiamo smaltire nella raccolta differenziata dei rifiuti.
La funzione degli imballaggi
È importante cercare di analizzare questi elementi cercando di capire la loro sostenibilità, soprattutto dal punto di vista energetico. A cosa servono tutti questi imballaggi, ad esempio, per la frutta e la verdura? Servono a facilitare il trasporto, anche da molto lontano in certi casi, e la durata sugli scaffali dei prodotti freschi. Quindi i consumatori ne ricavano un vantaggio, perché si possono avere a costo relativamente basso dei prodotti sempre diversi e senza difetti; si può godere dell’aumento del PIL e dei posti di lavoro. Ma per il mondo e per la sostenibilità tutto questo è sicuramente un danno: i trasporti producono inquinamento di vario tipo, e consumano combustibili fossili. L’aumento del PIL e i posti di lavoro in più non corrispondono alla produzione di beni utili e più in generale di benessere – a meno di considerare benessere poter mangiare la frutta prodotta all’altro capo del mondo.
Gli imballaggi di plastica hanno anche un altro problema: la raccolta differenziata che li mette tutti insieme rende difficile riciclarli. Occorre separare i diversi tipi di plastica, perché ognuno richiede processi diversi. E comunque riciclare consuma energia e produce materiali di qualità inferiore. Chi avesse veramente a cuore la salvaguardia del pianeta dovrebbe cercare di diminuire l’uso degli imballaggi, cercando di non acquistare prodotti imballati nella plastica, rivolgendosi ai piccoli negozi oppure alle bancarelle che danno gli acquisti avvolti nella carta, riutilizzabile e riciclabile più facilmente. Prima di inserirli nei rifiuti sarebbe meglio cercare di riutilizzarli, almeno qualche volta.
Le plastiche “usa e getta” sono molto diffuse; se in campo sanitario sono indispensabili, per evitare le infezioni, bisogna invece cercare di usarle il meno possibile nella nostra vita di tutti i giorni, dove il vantaggio è soltanto quello di una certa comodità in più. Dal 14 gennaio 2022 in Italia è entrato in vigore il Decreto legislativo 196/21 che vieta la produzione, la vendita e l’uso di prodotti realizzati in plastica monouso, e cioè bicchieri, cannucce, posate, piatti, ecc. Tutti questi oggetti però sono stati sostituiti da prodotti compostabili, che si usano in quantità sempre maggiori, con la sensazione di aver risolto il problema una volta per tutte.
Nel settembre 2019 presso il Collegio Ghislieri, a Pavia, Enzo Favoino, coordinatore del Comitato Scientifico del Centro di Ricerca Rifiuti Zero presso la Scuola Agraria del Parco di Monza sottolineava come bisognerebbe usare piatti e bicchieri lavabili e riutilizzabili, evitando non soltanto la plastica monouso, ma anche per quanto possibile i prodotti monouso compostabili, che aumentano il volume dei rifiuti e richiedono lavoro ed energia per essere smaltiti. Come tutti i materiali compostabili, dal punto di vista del Pianeta, sono ben poco vantaggiosi e spesso addirittura dannosi (basti pensare ai sacchetti di plastica, che dovrebbero essere vietati per legge…).
Gli imballaggi, non sempre utili
Un imballaggio particolarmente diffuso e particolarmente inutile è rappresentato dalle bottiglie di acqua minerale. L’Italia è il primo paese in Europa – e uno dei primi al mondo – per consumo di acqua in bottiglia, con una media di circa 200 litri l’anno persona e con un giro d’affari stimato in 10 miliardi di euro l’anno. Per il Pianeta si deve considerare il danno ambientale dovuto al trasporto, soprattutto quello su gomma, che riguarda anche le bottiglie di vetro e che provoca consumo di combustibili fossili e emissioni di gas serra. Tutto questo, in cambio di quali vantaggi per i singoli consumatori? Molti credono che l’acqua del rubinetto faccia male, e che l’acqua minerale sia più sana. L’idea che l’acqua in bottiglia sia migliore è stata inculcata dalla pubblicità, non ha una base razionale (escludendo naturalmente chi ha problemi di salute, e segue prescrizioni mediche). Questo fa capire come nel nostro Paese ci facciamo influenzare facilmente dalla propaganda di qualsiasi tipo.
A proposito di rivoluzione verde: il contrasto tra ciò che aiuta la popolazione e ciò che aiuta il pianeta è ancora più grande se si considera l’agricoltura. Su Wikipedia si legge: “Per rivoluzione verde, o terza rivoluzione agricola, si intende l’approccio innovativo ai temi della produzione agricola che, attraverso l’impiego di varietà vegetali geneticamente selezionate, fertilizzanti, fitofarmaci, acqua e altri investimenti di capitale in forma di nuovi mezzi tecnici e meccanici, ha consentito un incremento significativo delle produzioni agricole in gran parte del mondo tra gli anni quaranta e gli anni settanta del Novecento. Questo processo è iniziato nel 1944 in Messico e si è poi diffuso in gran parte del mondo, dando origine all’agricoltura intensiva, che ha portato grandi vantaggi per le persone: il cibo è diventato disponibile a basso costo (in quantità spesso anche eccessiva) e gli effetti delle carestie sono diventati molto meno dirompenti, anche perché i prodotti agricoli possono essere facilmente trasportati da una parte all’altra del mondo”. Tutto questo benessere in più per le persone umane sta procurando grossi danni, forse irreversibili, per il Pianeta e l’ambiente. L’agricoltura è uno dei settori in cui sarà indispensabile intervenire, e non sarà per nulla facile. È necessario un nuovo approccio che integri innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale e giustizia sociale per garantire la sicurezza alimentare per le generazioni future.
Oggi invece di rivoluzione verde si parla di Green Deal. Almeno per ora, le fonti energetiche definite “rinnovabili” non hanno la resa energetica dei combustibili fossili. Installare i pannelli solari, o comperare un’auto elettrica, sono azioni abbastanza vantaggiose per ognuno, soprattutto perché si può usufruire del contributo governativo. Queste scelte potrebbero aiutare a risparmiare, e a diminuire l’inquinamento dell’aria nelle grandi città. Ma l’impatto sul Pianeta non è affatto trascurabile: occorre considerare i materiali che si devono usare (tipo e quantità), l’energia necessaria per la costruzione di questi impianti, e la densità energetica dei diversi metodi di produzione dell’energia elettrica.
Come si vede dalla figura, i combustibili fossili e il nucleare hanno una densità energetica molto maggiore rispetto alle rinnovabili – che comunque non sono rinnovabili in senso stretto. Per sostituire i combustibili fossili occorrerà una quantità molto elevata di questi impianti “rinnovabili”, che – allo stato attuale della tecnologia – possono anche essere un vantaggio per i singoli consumatori, ma non riusciranno a debellare i problemi di inquinamento e di esaurimento delle risorse. Anzi, rischiano di aumentarli.