Con la crescita della popolazione mondiale, la domanda di cibo, e quindi di terra per coltivare cibo, è in costante aumento. Anche quando si parla delle città e delle loro possibile evoluzione futura, il problema dell’approvvigionamento di cibo deve essere considerato: se vogliamo ottenere una diminuzione delle emissioni di anidride carbonica e di altri inquinanti, dobbiamo diminuire i trasporti, e quindi cercare di coltivare il nostro cibo vicino, o addirittura all’interno delle città. Con questo obiettivo ci sono alcune interessanti proposte su come sfruttare gli edifici dismessi, i magazzini abbandonati, i terreni danneggiati e non più produttivi. Questo metodo di coltivazione si chiama “agricoltura verticale” o “vertical farming”.
Sia ben chiaro, non è una novità: a parte le coltivazioni su terrazze, che esistono da secoli in montagna e sui pendii ripidi, anche i sistemi veri e propri per la coltivazione al chiuso sono stati studiati da tempo: se ne parla fin dagli anni ‘50 del 1900. Più di recente, il metodo è stato messo a punto negli Stati Uniti e sta diventando sempre più popolare e diffuso. È possibile trovare molta letteratura scientifica sull’argomento. Segnalo qui un sito – tra i tantissimi – dal quale si può scaricare un rapporto molto chiaro e ben fatto.
Non si tratta semplicemente di realizzare degli orti urbani, che comunque non sono, neppure loro, una novità. L’agricoltura verticale è una soluzione ad alto contenuto tecnico, che propone di realizzare gli orti all’interno di edifici, dove le piante crescono con la sole luce artificiale, in un ambiente sigillato e climatizzato. Il primo orto verticale in Italia è stato realizzato per EXPO 2015 dall’Enea. Gli ortaggi vengono prodotti al chiuso, con un clima mantenuto alle condizioni ideali tutto l’anno, e in condizioni che non favoriscono la crescita di insetti, batteri o altri parassiti. Quindi non è previsto l’uso di pesticidi. Il supporto delle piante non è terra, ma torba, argilla espansa o lana di roccia, in cui circola la quantità ideale di acqua con disciolte soluzioni nutritive. Un sistema digitale controlla quali sostanze le piante abbiano consumato, e le ripristina
nella esatta quantità, senza sprechi o inquinamenti. Infine la crescita delle piante è assicurata dall’illuminazione a LED, nelle lunghezze d’onda più utili ai vegetali, che replica le condizioni naturali ideali per l’intera giornata, accelerando la fotosintesi clorofilliana. Nell’agricoltura verticale, le piante sono impilate in strati che possono raggiungere diversi piani di altezza. In alcuni casi, si prevede un lento movimento delle piante su un supporto che nella parte bassa è a contatto con acqua e nutrienti, mentre nella parte alta è esposto alla luce. (L’immagine proviene dal documento).
Nel documento citato sopra sono riportate anche alcune stime del consumo di energia di questi impianti e della loro capacità produttiva. Nel caso descritto, si parla di Vertical farming a Singapore, dove il terreno coltivabile a disposizione è veramente scarso. Usando queste tecniche, dato che si ottimizzano le esigenze delle piante e la produzione può essere continua per tutto l’anno, si ottiene che, a parità di superficie, si possano produrre 4-5 volte più cibo rispetto ad un orto tradizionale. Nel caso delle insalate ad esempio, si usa circa un 45esimo dell’acqua che servirebbe per la coltivazione in piena terra.
In effetti, si tratta sempre di un sistema di coltivazione fuori terra. Ne abbiamo già parlato tempo fa, quando abbiamo spiegato cosa sono Idroponica, Aeroponica, Acquaponica. E come abbiamo già avuto occasione di dire: siamo sicuri che il sapore di queste verdure sia abbastanza buono? Forse il sapore dipende soprattutto dal tipo di pianta (o di cultivar), forse non è il caso di cercare di ritrovare i sapori che forse sono rimasti solo nella nostra mente… un altro punto importante però, è che spesso questi sistemi producono di più, ma usando più energia. E di questo sarebbe bene tenere conto. I sistemi di vertical farming possono essere ulteriormente classificati considerando il tipo di struttura che ospita il sistema. Le fattorie verticali ad esempio sono spesso ospitate in edifici abbandonati nelle città, come per esempio a Chicago, dove l’impianto verticale “The Plant” è stato ricavato da un vecchio impianto di confezionamento di carne suina. Altri impianti sono stati costruiti in nuovi edifici, come nel caso di una struttura di parcheggio esistente nel centro di Jackson Hole, nel Wyoming.
Ci sono anche fattorie verticali che vengono costruite all’interno di container, proprio quelli che normalmente trasportano merci in tutto il mondo. I container dopo un po’ di anni vengono rinnovati e possono essere trasformati in fattorie verticali autonome, complete di luci a LED, sistemi di irrigazione a goccia e scaffali impilati verticalmente per coltivare diversi tipi di piante. Si tratta di unità autonome che hanno sistemi di gestione della crescita controllati da computer. Gli utenti possono così monitorare da remoto, utilizzando uno smartphone o un computer, l’intera fattoria. Sarà così l’agricoltura del futuro?