Chiusura dello strato di ozono attraverso l’eliminazione del 98% delle sostanze che lo danneggiano, il che fa realisticamente ipotizzare un recupero totale nei prossimi quarant’anni. Cambiamento negli stili di vita e nei consumi degli abitanti dell’intero pianeta. Riduzione delle emissioni di gas serra cinque volte di più degli obiettivi stabiliti da Kyoto. Italia ai vertici nel settore delle tecnologie innovative.
Sono questi i traguardi raggiunti dal Protocollo di Montréal – che compie 25 anni in questi giorni – , considerato il miglior esempio di cooperazione globale sull’ambiente, ratificato da 193 paesi al mondo.
Di gas colpevoli di uccidere l’ozono ne esistevano molti, come i Cfc (clorofluorocarburi) usati nelle plastiche espanse, nei vecchi frigoriferi e condizionatori, nelle bombolette spray, oppure come il bromuro di metile usato per la fumigazione e la disinfezione dei terreni. Questi composti, spiega una nota del ministero dell’Ambiente, avevano allargato il buco nello strato di ozono presente nella stratosfera, che funge da filtro contro le radiazioni ultraviolette.
La scomparsa di questo filtro naturale avrebbe sconvolto la vita sul pianeta. I raggi ultravioletti nell’uomo causano tumori alla pelle e problemi agli occhi, ma danneggiano anche le piante e, in generale, la vita sulla terra. Il Protocollo ha eliminato questo pericolo ambientale e ha portato anche cambiamenti radicali nello stile di vita dei cittadini di ogni parte del mondo, per esempio con la diffusione di spray a pressione manuale nei detergenti per la casa e in mille altri prodotti.
In questo processo di conversione industriale, l’Italia ha avuto un ruolo di primissimo piano, e oggi è leader nella produzione di tecnologie innovative nei settori della refrigerazione, delle schiume plastiche, dei prodotti medicinali e della fumigazione dei terreni.
Questo impegno valse al nostro paese anche un premio nel 2007. A riceverlo fu Corrado Clini, allora direttore generale del ministero e oggi ministro dell’Ambiente, durante la diciannovesima conferenza del Protocollo.
Sul fronte clima l’allerta è però sempre alta. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, infatti, la qualità dell’aria in Italia è pessima anche a causa della poca disponibilità di verde per ogni abitante, pari ad appena 106,4 metri quadrati nei 116 capoluoghi di provincia.
Il rapporto Ue, relativo al periodo 2001-2010, assegna all’Itala la maglia nera per la qualità dell’aria perché abbiamo sforato i limiti per il particolato, l’ozono e il monossido di carbonio, ma anche per il nickel e il benzene. “Nonostante l’incremento del traffico e il processo di urbanizzazione negli ultimi dieci anni, la disponibilità del verde è aumentata appena di 3,1 metri quadrati per abitante – denuncia una nota della Coldiretti. – Oltre a svolgere funzioni di tipo estetico e psicofisico, le aree verdi producono effetti che concorrono, in modo rilevante, all’eliminazione delle polveri e degli inquinanti gassosi, al miglioramento del microclima, attraverso l’ombreggiamento e l’emissione di imponenti volumi di vapore acqueo, alla riduzione dei rumori e alla protezione del suolo”