Pensavamo che con la fine dell’estate sarebbero finiti anche gli incendi: se è stato così per l’emisfero boreale, per quello australe, dall’altro lato del globo, siamo solo all’inizio. Enormi incendi in Australia hanno infatti bruciato finora 6.3 milioni di ettari di terra (il doppio della superficie bruciata in Siberia e Amazzonia nell’estate 2019), ucciso 25 persone, distrutto più di 2000 abitazioni e costretto migliaia di cittadini ad abbandonarle alla ricerca di un rifugio (fonte BBC Earth). Secondo EarthAlliance, sono 350mila le tonnellate di anidride carbonica rilasciate e intorno al miliardo gli animali che si stima abbiano subito ripercussioni a causa delle fiamme. Il calcolo non tiene però conto di pipistrelli, anfibi, pesci e ovviamente tutti gli invertebrati, per cui la stima reale è sicuramente maggiore ma estremamente difficile da calcolare. Ad esempio, per quanto riguarda i koala, piccoli mammiferi simbolo nazionale, le stime ad opera di Chris Dickman ricercatore dell’Università di Sydney parlano di 8000 esemplari deceduti, pari a circa un terzo di quelli presenti nel Nuovo Galles del Sud. Questo dato non è rincuorante. Ora infatti i koala sono classificati come “specie vulnerabile” dalla IUCN (l’Unione internazionale per la Conservazione della Natura) dal momento che nel corso del ventennio 1990-2010 la popolazione è diminuita del 28% a causa di deforestazione, aumento della temperatura, incendi, siccità ma anche per la pressione dovuta alla competizione con specie aliene.
Attualmente gli incendi stanno coinvolgendo diverse regioni sud-orientali australiane, tra cui la più colpita è certamente il Nuovo Galles del Sud, lo stato più popoloso di cui Sydney è capitale. In alcuni casi le fiamme hanno raggiunto anche le periferie delle grandi città (Melbourne, Sydney e Canberra) e di altri centri abitati. Tra le zone colpite troviamo anche note aree protette, come il Woollemi National Park (sito UNESCO) e Kangaroo Island, che a causa delle fiamme hanno perso fascino e bellezza. Viene spontaneo chiedersi: perché questi incendi risultano inarrestabili? Innanzitutto, il fuoco viaggia veloce (22km/h), raggiungendo altezze inimmaginabili (anche oltre i 60m) che lo rendono fuori controllo. In queste condizioni è infatti impossibile avvicinarsi sia a piedi sia per via aerea: la scarsa visibilità dovuta al fumo e alle ceneri rende troppo pericoloso l’avvicinamento di mezzi aerei per il rilascio d’acqua o di agenti ritardanti.
Come per l’Amazzonia anche in questo caso le cause non sembrano essere solo legate a eventi naturali, ma anche all’intervento umano. Molti incendi sono stati causati, infatti, dall’uomo a causa di ignoranza e irresponsabilità. In molti casi gli incendi sono nati proprio da errori o dal mancato rispetto di divieti temporanei, che ha portato ad accusare molti, dai disattenti ai piromani. Oltre a tutto da mesi, le aree in cui gli incendi si sono diffusi soffrivano di siccità estrema, dovuta a precipitazioni eccessivamente sotto la media annua. Il caldo anomalo del mese di dicembre 2019 ha provocato un ulteriore essiccamento della vegetazione: condizione fondamentale per dar vita a un incendio perfetto, le cui fiamme sono state propagate ancor più rapidamente dal vento forte.
Quindi, così come nel caso dell’Amazzonia e della Siberia, il cambiamento climatico e l’uomo risultano i primi colpevoli. Nel corso dell’ultimo secolo difatti in Australia le temperature medie annuali sono salite di 1.5°, facendo sì che il 2019 risultasse l’anno più caldo da oltre un secolo. Per riportare un dato, lo scorso 18 dicembre l’Australia ha vissuto la sua giornata più calda mai registrata, con una temperatura media di 41.9°!! Il cambiamento climatico sta inoltre provocando alterazioni all’interno dell’oceano Indiano. Esso presenta un’irregolare oscillazione di temperatura che determina un maggior riscaldamento dell’area occidentale rispetto a quella orientale e viceversa. Tale fenomeno prende il nome di di polo dell’oceano Indiano o Niño indiano. Quest’anno la differenza di temperatura tra le due aree è stata la maggiore registrata negli ultimi 60 anni. Determinata dai cambiamenti climatici, essa sta provocando ingenti precipitazioni e pericolose inondazioni in Africa orientale e siccità e caldo estremo nell’area opposta, comprendente anche l’Australia. Unitamente a ciò, da una parte particolari condizioni dei venti antartici hanno favorito un clima secco in Australia, dall’altra il ritardo della stagione dei monsoni al nord ha permesso un aumento delle temperature nella parte centrale del paese. Con l’aumento dei cambiamenti climatici fenomeni come questo potrebbero diventare ancor più frequenti, determinando condizioni i cui effetti sono sempre più difficili da predire.
Come abbiamo già detto riguardo la Siberia, gli incendi spesso fanno parte dei cicli dell’ecosistema, che però necessita di finestre temporali più lunghe e condizioni favorevoli per rigenerarsi. Con l’aumento di frequenza degli incendi questo tempo sta già venendo meno. Al momento attuale, è veramente difficile prevedere quando questo drammatico fenomeno possa arrestarsi. Quel che sappiamo è che, dopo un incendio, boschi e foreste rimangono luoghi silenziosi. Gli animali hanno perso i loro soliti ripari, distrutti dalle fiamme o sommersi dalle ceneri. Gli ecosistemi sarebbero teoricamente abituati e capaci di resistere al passaggio degli incendi, ma in questo caso la loro forza è stata troppo distruttiva e la loro avanzata troppo rapida, arrivando a toccare anche gli ambienti meno preparati. Gli incendi hanno alterato le condizioni di vita di interi ecosistemi e gli scenari possibili, ancora tutti ipotetici, variano in gravità e portata. Ciò che è certo è che serviranno decenni perché la Natura riesca a fare il suo corso e ricostruisca ciò che è andato perso. Come abbiamo detto in precedenza, l’estate è solo all’inizio e l’ondata di caldo potrebbe aumentare.
Dal canto nostro, pur vivendo dall’altra parte del mondo, sono tante le cose che possiamo fare a distanza. Prima tra tutte seguire l’esempio di molte star Hollywoodiane che dai palchi dei Golden Globe e sui social media ci invitano a donare, come ad esempio attraverso la campagna di donazione di Celeste Barber, nota attrice australiana, a quella del WWF Australia (sul loro sito internet) e della Croce Rossa australiana. A noi non costa molto, ma messi tutti insieme possiamo fare tanto.
Oltre all’adesione a queste campagne possiamo impegnarci in prima persona riducendo le nostre emissioni inquinanti personali tramite un cambiamento radicale nel nostro comportamento. Stimiamo la nostra impronta ecologica (ve ne avevamo già parlato) e cerchiamo di capire quali sono i settori della nostra vita quotidiana su cui possiamo lavorare per ridurla. Per darvi un rapido esempio: nel mio caso sono i trasporti, e da qualche mese a questa parte sto cercando di ridurre al minimo l’utilizzo dell’automobile e dell’aereo tranne in casi strettamente necessari. Infine, teniamo sempre in grandissima considerazione le norme di comportamento da rispettare quando ci troviamo in boschi, foreste o pinete, fornite con precisione da Corpi Forestali e Istituzioni: non accendiamo fuochi se non nelle aree consentite, non gettiamo a terra mozziconi di sigaretta anche se li crediamo spenti e contattiamo i numeri d’emergenza (il numero nazionale è il 1515) qualora pensiamo di trovarci di fronte a fumo o fiamme sospetti: col nostro intervento potremmo prevenire tragedie dalla portata drammatica.
Questa volta è toccato ai koala e al popolo australiano, ma domani potrebbe toccare a qualcun altro. Sta anche a noi evitare di essere i prossimi.