Biotecnologia, cioè indurre dei cambiamenti nella struttura e nella funzione di un organismo vivente o di un processo biologico per un fine di utilità concreta
Il termine biotecnologia, secondo la definizione della Convenzione sulla Biodiversità Biologica delle Nazioni Unite, indica “ogni applicazione tecnologica che si serva di sistemi biologici, organismi viventi o derivati da questi per produrre o modificare prodotti o processi produttivi per un fine specifico”. Detto in termini meno precisi ma di immediata comprensione, parliamo di biotecnologie ogni qualvolta induciamo dei cambiamenti nella struttura e nella funzione di un organismo vivente o di un processo biologico per un fine di utilità concreta.
Questa definizione, interpretata in senso ampio, copre molti degli strumenti e delle tecniche che vengono abitualmente utilizzate in agricoltura e nella produzione di cibo, come i processi fermentativi e lievitativi di pane, vino, birra, formaggi (le cosiddette agro-biotecnologie tradizionali). Letta, invece, in senso più restrittivo – considerando quindi esclusivamente le nuove tecniche di intervento sul DNA – la definizione fa riferimento a una gamma di pratiche molto innovative, finalizzate a identificare, manipolare e trasferire geni di piante e animali: gli organismi geneticamente modificati (OGM).
La nascita delle biotecnologie e gli sviluppi ad oggi
Fu nel 1917 che Karl Ereky, un agronomo ungherese, coniò il termine biotecnologia, ma solo nel 1953 James Watson e Francis Crick riuscirono a descrivere la struttura a doppia elica del DNA. A partire dagli anni ’70 si cominciarono a sperimentare, in agricoltura, le potenzialità delle nuove tecnologie: il primo vegetale OGM fu una pianta di tabacco creata a scopi scientifici, nel 1983. Negli anni ’80 si sviluppò la tecnologia del DNA ricombinante: il batterio Escherichia coli venne ingegnerizzato per produrre molecole come l’insulina nella sua forma umana (circa il 5% dei diabetici è allergico all’insulina di origine animale, somministrata un tempo).
Nel 1983 Kary B. Mullis mise poi a punto la tecnica della reazione a catena della polimerasi, destinata a rivoluzionare il mondo delle biotecnologie: permette, infatti, la copia o l’alterazione in un modo predeterminato (milioni di volte) di una singola sequenza di DNA, consentendo di ottenere in vitro e molto rapidamente la quantità di materiale genetico necessaria per le successive applicazioni. Si erano così poste le basi perché le scoperte scientifiche nel campo delle biotecnologie iniziassero a tradursi in iniziative di business in campo economico.
La fisionomia del settore industriale degli organismi geneticamente modificati in ambito agricolo iniziò a prendere forma proprio alla metà degli anni ’80. I costi elevatissimi associati alla realizzazione di varietà OGM (per una singola varietà si stimano essere tra i 100 e i 200 milioni di dollari) determinarono fin d’allora una fortissima concentrazione nel settore, oggi dominato da poche imprese attive a livello globale.
Solo nel 1994 la Food and Drug Administration statunitense (FDA) approvò il primo alimento geneticamente modificato: il pomodoro “Flavr Savr”. Dal punto di vista commerciale fu un fallimento, ma il suo tentativo di commercializzazione segnò ufficialmente la nascita dell’industria OGM. Gli avanzamenti realizzati negli ultimi venti anni in materia di genetica e biologia molecolare, sono stati straordinari: nel 1997 il gruppo di lavoro coordinato da Ian Wilmut clonò la pecora Dolly, utilizzando il DNA di due cellule di pecora adulta; nel 2000 venne completata la decodificazione del Genoma Umano e nel 2002 fu sequenziato il genoma della pianta di riso, prima specie di uso agricolo ad essere interamente decifrata; nel 2010, infine, è stata annunciata la costruzione in laboratorio della prima cellula artificiale, controllata da un DNA sintetico e in grado di dividersi e moltiplicarsi proprio come qualsiasi altra cellula vivente. In parallelo, anche le applicazioni in ambito agroalimentare si sono moltiplicate, e con esse l’esigenza di comprendere in modo più approfondito i benefici ed i profili di rischio associati a questa tecnologia.
Biotecnologie in ambito agroalimentare e OGM
Con l’inizio del secolo scorso le sementi sono diventate progressivamente oggetto di un lavoro di miglioramento genetico di carattere scientifico, dapprima in forma empirica e poi sempre più sperimentale. Già dagli anni Venti, sul nascente mercato dei semi si cominciarono a diffondere i primi ibridi commerciali di mais e nell’immediato dopoguerra si stima che il 90% del mais statunitense provenisse da ibridi. Un’ulteriore modalità di intervento sul genoma delle piante è costituita dall’induzione di mutazioni mediante agenti chimici (come il cobalto) o fisici (raggi X, Y e ultravioletti), e viene chiamata mutagenesi indotta (una tecnica sviluppata in Italia soprattutto tra gli anni ‘50 e ‘70).
Con l’introduzione delle nuove tecniche del DNA ricombinante, note anche come ingegneria genetica, lo scenario muta radicalmente, grazie al trasferimento di geni da un organismo ad un altro. La nuova tecnica ha infatti permesso la creazione di organismi geneticamente modificati, tra i quali le piante transgeniche, nei quali si opera l’introduzione di uno o più geni volti a generare o potenziare determinate caratteristiche di interesse.
Quali OGM, oggi e in futuro?
Le varietà di piante OGM oggi in commercio sono state create per ottenere la resistenza agli insetti parassiti, la tolleranza agli erbicidi e la resistenza ai virus. Nel prossimo futuro, bisognerà rispondere all’esigenza di mettere a punto delle varietà vegetali capaci di adattarsi a condizioni ambientali e climatiche avverse. Ad oggi, l’ISAAA (International Service for the Acquisition of AgriBiotech Applications) stima che il 70% della soia mondiale, il 46% del cotone, il 24% del mais e il 20% della colza siano OGM. In termini di crescita media, le aree coltivate con colture OGM sono cresciute a livello mondiale ad un tasso medio annuo composto del 39,9%.
Le varietà di piante GM più diffuse appartengono alle seguenti specie coltivate: soia (52% delle coltivazioni transgeniche totali), mais (31% del totale) e cotone (12% dell’area totale). Nel 2009, in otto Nazioni sono stati coltivati più di un milione di ettari di colture GM per ciascun paese. Sono state: USA, Brasile, Argentina, India, Canada, Cina, Paraguay e Sud Africa. In Europa, nel 2009, sei nazioni hanno coltivato complessivamente 94.750 ettari di colture GM (per l’80% in Spagna) a fronte di 107.719 ettari piantati nel 2008 (-12,04%). Tra i 25 Paesi al mondo che coltivano OGM, 16 sono economie in via di sviluppo; in realtà, se guardiamo alle superfici coltivate ad OGM, il 95% del totale è coperto da soli 6 Stati (USA, Brasile, Argentina, India, Canada e Cina), lasciando ai restanti 19 Paesi un mero 5%.
(Fonte: BCFN – Barilla Centre for Food and Nutrition)