Già oltre quaranta anni fa una norma fondamentale, la UNI 8290, definiva le partizioni interne dell’edilizia residenziale (ma non solo) per dare ordine nello scomporre e ricomporre gli spazi, con una flessibilità di progettazione che avrebbe consentito, oggi, nuove soluzioni abitative per rispettare esigenze diverse, grazie alle partizioni interne
Già più di quarant’anni or sono l’ente di unificazione italiano UNI aveva elaborato una norma fondamentale, la UNI 8290, che definiva le diverse parti degli organismi edilizi (principalmente residenziali) e che mirava dichiaratamente a garantire la comprensione e una ordinata e organica scomposizione (e progettazione) di un sistema edilizio in più livelli, con regole omogenee.
Studiata sui banchi delle università dai professionisti di oggi, la norma stabiliva anche una terminologia specifica ed un certo grado di flessibilità nelle definizioni che potesse far fronte alla futura evoluzione dei sistemi edilizi.
Le partizioni interne come pareti e infissi
Alla voce “partizioni interne” venivano così individuate le pareti, gli infissi e gli elementi di protezione interni, senza distinzione di materiali o tecnologia, né di funzione, per lo meno nel senso complessivo del termine, ma piuttosto in base al loro specifico uso all’interno di un ambiente, in quanto volte a dividere, separare (“partiri” in latino) due aree di un unico organismo.
Rispetto ai regolamenti edilizi diffusi in tutta Italia con caratteristiche comuni, la norma mostrava già allora una migliore comprensione dell’ambiente costruito, concentrandosi essenzialmente sull’utilizzo e le prestazioni degli organismi edilizi, più che sulle tecnologie, inevitabilmente passeggere.
Questa distinzione tra categorie tecnico-materiali e categorie prestazionali consente quindi di parificare diverse famiglie di prodotti quando svolgono la stessa funzione, come i tavolati con tecnologia tradizionale o a secco e gli infissi e le protezioni.
Sono quindi partizioni tanto i tavolati realizzati con tavelle in laterizio, malta ed intonaco, le pareti in cartongesso, ma anche i serramenti o le vetrate interne, nonchè tutte le pareti cosiddette “leggere” (anche rimovibili) o di arredo. Lungi dall’essere un mero tecnicismo per addetti ai lavori, quest’ottica si dimostra essenziale nel mettere al centro dell’azione progettuale le persone che vivranno in un dato ambiente e le loro necessità, al contrario di molti regolamenti edilizi, ma anche delle recenti direttive sovranazionali, che hanno spesso una natura prescrittiva basata su parametri stabiliti a priori.
Strategie prestazionali più che vincoli tecnologici
Anche la nuova sensibilità contemporanea in merito ai temi della sostenibilità andrebbe infatti tradotta in strategie prestazionali, piuttosto che in vincoli tecnologici decontestualizzati. A titolo di esempio si consideri infatti che lo stop alle caldaie a combustibili fossili a partire dal 2025 richiederà già nel breve periodo un livello di flessibilità che le nostre case non sono ad oggi in grado di offrire. Alcune tecnologie per il riscaldamento e la climatizzazione sono infatti maggiormente compatibili per loro stessa natura con tecnologie costruttive poco comuni nelle residenze italiane, come i tavolati in cartongesso (tecnologia e produzione che vede molto forti le aziende tedesche) ma anche gli infissi “leggeri”, e le partizioni di arredo che l’Italia già produce per tutto il mondo, ma utilizza solo in minima percentuale, essenzialmente per gli spazi commerciali e lavorativi, anche in considerazione dei maggiori costi di investimento.
In tempi non sospetti il responsabile per la sostenibilità di uno grande studio di architettura danese aveva già paventato il rischio insito nelle normative danesi e la loro tendenza a privilegiare un concetto di sostenibilità basato su strategie di breve periodo, che avrebbe comportato un totale ripensamento dei singoli componenti e un bilancio ambientale non necessariamente favorevole. In sintesi, lo studio chiariva infatti che gli organismi edilizi con una vita media di 50 anni, corrispondenti cioè alle previsioni della normativa danese e dei necessari aggiornamenti tecnologici, avrebbero comportato nell’arco della loro vita un maggior dispendio ambientale per anno, rispetto ad edifici “meno aggiornati” ma con durate medie pari o superiori agli 80 anni. In un’ottica prestazionale, un edificio o le sue parti, andrebbero sostituite al mutare delle esigenze d’uso o al decadimento delle prestazioni attese (per danneggiamento od obsolescenza).
Prevarrebbero quindi i sistemi di certificazione essenzialmente prestazionali, con le persone al centro, e applicati agli organismi edilizi concreti e in grado di verficarne le caratteristiche anche in termini di sostenibilità ambientale. In un approccio normativo-tecnologico cogente basato su vincoli e tecnologie specifiche, tendono invece a prevalere determinati tipi di prodotti e/o impianti, non necessariamente adatti a ogni contesto (si consideri per esempio che la resa di un pannello fotovoltaico a Bolzano o a Palermo è differente).
Tavolati a malta e intonaco chiedono pochi interventi nel tempo
Attualmente i tavolati interni delle nostre case, per lo più realizzati con tavelle di laterizio, malte ed intonaco, prevedono pochi interventi di adeguamento e molto distanziati nel tempo, mentre il passaggio all’ottica normativo-tecnologica prevede, come nel caso dei computer, un continuo aggiormento ed un maggior rilievo della flessibilità.
Il sistema a secco, nato per consentire rapidi spostamenti delle pareti e per semplificare le attività di cantiere, ma anche di manutenzione, potrebbe quindi già nel medio periodo prevalere, con un significativo aumento di pareti in cartongesso nelle nostre case. La spinta ad un continuo aggiornamento, richiederà quindi ai progettisti e ai proprietari di adeguare le loro case aumentandone la flessibilità, a prescindere dal loro attuale livello prestazionale.
Il futuro è nelle pareti attrezzate
Dato il vantaggio competitivo italiano nel settore dell’arredo come delle partizioni mobili e delle pareti leggere, è quindi possibile che la casa italiana del futuro, più che del ‘cartongesso’, faccia ampio uso dei sistemi d’arredo o, per dirla come Giò Ponti, delle pareti attrezzate, accorpando cioè all’interno degli arredi le funzioni attualmente svolte dai tavolati e dagli impianti sottotraccia, che potranno, invece, divenire facilmente accessibili ed eventualmente modificabili per poter rispondere anche eventuali ulteriori adeguamenti tecnologici previsti dalla normativa.
La sfida delle direttive green, ci indirizza, infatti, verso case più piccole, più costose e con tecnologie più complesse e dalla frequente manutenzione: le tradizionali tecniche costruttive a buon mercato con “malta e tavelle” sembrano quindi in fuorigioco, e a meno di ripensamenti del normatore, infissi ed arredi, largamente prodotti in Italia, potranno garantire una risposta efficace e sufficientemente flessibile senza dover rinunciare alle prestazioni oggi garantite dalle maggiori superfici e da tecnologie energivore.