Una casa di tipo ‘passivo’ necessita anche di materiali specifici, come i laterizi portanti alveolari o i mattoni di terra cruda, in grado offrire un buon livello di inerzia termica, senza rinunciare all’isolamento
Se una casa di tipo ‘passivo’, ovvero in grado di miminizzare l’apporto energetico necessario a garantire il comfort termico interno, richiede un’evoluzione nella gestione dei tradizionali impianti di riscaldamento e climatizzazione, o persino una sostanziale riduzione degli stessi, laddove sia possibile affidarsi in primis all’irraggiamento solare e all’aerazione naturale, allo stesso tempo i materiali da costruzione risultano tutt’altro che ‘passivi‘ nei meccanismi di accumulazione e rilascio del calore, nonché per l’isolamento e la protezione del comfort interno.
La riscoperta dell’importanza dell’inerzia termica delle case è stata possibile anche grazie ai nuovi strumenti di analisi digitale che hanno consentito di misurare e monitorare con grande precisione i cambiamenti di temperatura e umidità delle costruzioni contemporanee. Il concetto intuitivo secondo il quale una chiesa romanica dalle spesse mura lapidee sia in grado di offrire un sensibile ristoro dalla calura estiva, viene oggi tradotto in numeri e grafici per meglio comprenderne le dinamiche e trasferire quelle caratteristiche, o parte di esse, anche agli edifici moderni.
Laterizi alveolari, scelta migliore del cappotto termico
Sì è così scoperto che anche i nuovi materiali, come per esempio i laterizi portanti alveolari (Poroton o Alveolater, per citare due noti nomi commerciali), sono in grado offrire alle case un buon livello di inerzia termica senza rinunciare all’isolamento richiesto dalle normative. L’idea che le case debbano necessariamente essere rivestite da un cappotto di materiali plastici è infatti una pericolosa semplificazione che è stata generata principalmente da un rapporto costi-benefici molto favorevole a materiali di sintesi come il poliuretano espanso o il polistirene. Se è infatti vero che difficilmente altri materiali offrono prestazioni così elevate (se pensiamo per esempio al sughero) o costi così accessibili (se pensiamo in questo caso all’aerogel utilizzato per isolare persino le navette spaziali), è altrettanto vero che il cappotto in sé non è mai una strada obbligata, soprattutto nel caso delle nuove costruzioni.
Sotto questo profilo, infatti, i laterizi aleveolari, a volte indicati anche come ‘termolaterizi’ sono stati costantemente migliorati negli ultimi decenni, fino a diventare una vera e propria gamma di prodotti con spessori, capacità isolante, e resistenza meccanica, variabili quasi per ogni possibile uso. Già negli anni ’70 era stato possibile, grazie a nuovi additivi ‘alleggerenti’, produrre dei laterizi più leggeri e più isolanti, il cui impasto sviluppava cioè dei piccoli alveoli in fase di cottura. In tempi più recenti sono state sperimentate ulteriori tecniche, lavorando molto anche sulla stessa geometria dei nuovi laterizi, con superfici rettificate e incastri ingegnerizzati per una miglior tenuta e camere d’aria a implementare il valore isolante senza abdicare alla resistenza meccanica e, in qualche caso, utili anche ad alloggiare veri e propri strati isolanti o armature metalliche di rinforzo (la cosiddetta ‘muratura armata’) a seconda delle necessità.
In tempi ancora più recenti, alcuni progettisti hanno infine scoperto che queste murature, conservavano ancora in virtù degli spessori maggiori, una massa significativamente elevata e tale da contribuire ai principi di assorbimento e rilascio del calore di un edificio smorzando i picchi stagionali: hanno infatti una consistente ‘inerzia termica’. Così lo spessore murario, che l’architettura contemporanea considerava un grave difetto, potrebbe in un prossimo futuro rivelarsi un prezioso alleato delle nuove case ‘green‘, riducendo drasticamente il ricorso ai cappotti esterni.
I mattoni in terra cruda, laterizi antichi
L’inerzia termica e molte delle caratteristiche di questa nuova-antica tipologia di laterizi sono però garantite anche dai mattoni in terra cruda, altro elemento costruttivo con una tradizione antichissima, che era scomparso e sta tornando lentamente in auge in tutto il mondo proprio in virtù delle buone prestazioni e del minor impatto ambientale se confrontato con i laterizi classici. In questa categoria comprendiamo naturalmente sia i mattoni pieni in argilla pura essiccati al sole, quanto una vasta categoria di miscele, essenzialmente a base di argilla essiccata, ma che possono parzialmente comprendere anche inerti o fibre vegetali (come per esempio la canapa, in quanto materiale organico con buone proprietà isolanti). Oltre all’evidente ‘vantaggio ambientale’ derivato dalla mancata cottura dei mattoni e oltre a garantire un’elevata inerzia termica, la terra cruda è un materiale naturale inerte, non infiammabile, molto indicato anche per il controllo dell’umidità dell’aria negli ambienti e per l’isolamento acustico ed elettromagnetico, sebbene sia da evitarsi in presenza di acqua e laddove siano richieste prestazioni meccaniche elevate. Un ulteriore, e non trascurabile, vantaggio ambientale offerto dalla terra cruda risiede infine nella semplicità di riciclo e nella facile reperibilità, che storicamente lo rendeva il materiale locale per eccellenza a quasi tutte le latitudini.
Analogamente ai mattoni in terra cruda, molti architetti contemporanei stanno riscoprendo anche una tecnica ancora più antica come quella del pisé o ‘calcestruzzo in argilla‘. L’architetto cinese Wang Shu, salito agli onori internazionali con un Pritzker Prize (l’Oscar per l’architettura) nel 2012, motivato principalmente per le sue brillanti intuizioni nel riuso e riciclo dei materiali, capace di dare nuova vita ad antichi frammenti di coppi e mattoni di una Cina in via di demolizione, ha infatti saputo erigere tra i nuovissimi grattacieli in acciaio e vetro della città di Hangzhou, un ampio organismo edilizio fortemente innovativo e caratterizzato da materiali antichi e moderni insieme: la struttura in cemento armato con tessitura a incannicciato di bambù alternarta ai vasti setti ocra e rossicci in terra cruda al di sotto sotto un’iperstatica copertura lignea.
Questa architettura in terra cruda è naturalmente particolarmente emblematica non solo per la scala significativa dell’edificio (utilizzato come guesthouse servizio della China Academy of Arts nel suo campus centrale), ma anche in quanto indice di un cambio di paradigma nelle costruzioni in una nazione come la Cina. Eppure la tendenza è già internazionale, se consideriamo anche le diverse costruzioni in terra cruda della giovane e brillante progettista Nzinga B. Mboup in Senegal, dove, ancora una volta, una tecnica antica è stata rivitalizzata, garantendo un minor impatto a costi contenuti. Non ancora così purtroppo in Europa, dove tanto i mattoni in terra cruda, quanto le tavelle, gli intonaci o il pisé, ormai scomparsi da tempo immemore, sono già stati reintrodotti con nuove varianti tecniche e prestazioni garantite e certificate, ma permangono prodotti di nicchia, necessariamente posati da maestranze esperte e conseguentemente ancora lontani dall’offrire costi accessibili ad ogni tipologia di cantiere.