La recente direttiva Ue Case Green determina una dimensione epocale degli adeguamenti che si renderanno necessari per il patrimonio edilizio italiano
Il Consiglio dell’Unione Europea Ecofin ha recentemente licenziato la cosiddetta Direttiva Case Green, che nei mesi a venire verrà recepita anche dalle legislazioni e dai regolamenti nazionali e locali. Vista come “un’occasione da non sprecare per adeguare le nostre case” dall’Associazione Nazionale dei Costruttori, le imprese edili raccomandano sin d’ora la definizione di “strumenti strutturali di pianificazione di medio e lungo periodo” e non “interventi emergenziali come è stato il Superbonus”.
Un giudizio più duro è stato invece espresso dalla presidente di Confedilizia, la confederazione della proprietà edilizia, che ha esplicitamente definito la direttiva, come “un testo dagli obiettivi finali ben difficilmente realizzabili (emissioni zero nel 2050)” e “che la nuova legislatura europea farebbe bene a ripensare”, nonostante i molti correttivi già applicati in corso d’opera.
Senza la pretesa di riassumere qui in poche righe un testo molto complesso, e il dibattito che lo ha accompagnato, ci sembra che quanto segnalato sia da Ance (Associazione nazionale costruttori edili) sia da Confedilizia, centri i due punti principali, per lo meno relativamente all’applicazione concreta della direttiva Case Green sul territorio italiano.
Case Green, adeguamenti e incentivi
In primo luogo, infatti, sarà opportuno riconoscere la dimensione epocale degli adeguamenti che si renderanno necessari per il patrimonio edilizio italiano ed adottare per tempo un adeguato sistema di incentivi a più livelli e in più ambiti, soprattutto considerando come molti studi dimostrino che gli edifici di maggior impatto e più energivori in Italia risultano essere proprio gli edifici pubblici.
In secondo luogo è necessario ammettere quanto la direttiva in sé rischi di segna un vero e proprio “salto nel buio” persino per chi da anni studia e cerca attivamente di ridurre l’impatto dell’edilizia in Italia. A titolo esemplificativo basterà infatti ricordare che oggi anche gli edifici in assoluto più performanti, sono definiti come edifici “a energia quasi zero” (o NZEB, in inglese) in quanto non sono affatto esenti da consumi energetici, per quanto ridottissimi rispetto alla media. Le soglie temporali attualmente definite dalla direttiva ci dicono infatti che anche le nuovissime “case passive” o “NZEB” dovranno comunque prevedere interventi di rilievo entro meno di ventisei anni. Sotto questo profilo l’esperienza del Bonus 110%, una volta compresi i numeri effettivi, ci tornerà indubbiamente utile nelle fasi di conversione della direttiva e anche al fine di costruire un sistema di incentivi davvero efficace.
Le cifre globali del Bonus sono infatti ancora ignote nella loro entità complessiva, ma già oggi sappiamo che sono stati ampiamente superati i 110 miliardi di euro (circa 117 secondo l’ultima elaborazione Enea) e che questa cifra, in un arco di circa tre anni, ci ha consentito di migliorare di due o più classi energetiche una porzione purtroppo molto ridotta del nostro edificato (Nomisma stimava non più dello 0,5% fino a qualche mese fa).
Sapendo che solo il 2% dell’edificato italiano già certificato in classe A non sarà esente da modifiche e da misure impattanti come il bando totale delle caldaie a combustibili fossili (che pare siano l’80% dei sistemi di riscaldamento) e sapendo che la media degli stabili del nostro Paese si trova a molta distanza, anche temporale, dal raggiungimento degli obiettivi prefissi, le future norme ed i futuri regolamenti Case Green dovranno necessariamente tenere conto in maniera molto attenta delle peculiarità italiane ed evitare soluzioni rigide. Esempio tipico di rigidità potrebbe infatti essere la conferma definitiva dell’addio a ogni forma di caldaia a favore delle pompe di calore con un unico tipo di gas, soprattutto considerando che se davvero tutti i cittadini italiani dovessero improvvisamente passare all’elettrico per il loro riscaldamento invernale, non solo i gestori non sarebbero in grado di fornire agilmente quell’energia, ma anche le attuali reti elettriche non potrebbero probabilmente nemmeno distribuirla senza un rifacimento complessivo.
Un atteggiamento analogo, che difficilmente potrà aiutarci a ottenere case più green, è una tendenza che rischia di consolidandosi e che definisce i materiali e le opere edili in termini di ‘carbonio incorporato’. Alcune città, come Londra, hanno spinto molto l’acceleratore su questo tema, con il risultato pratico di avere oggi non più solo i cittadini comuni, ma anche i professionisti, spesso dipendenti nelle loro scelte da parametri numerici non sempre decifrabili. Per questo motivo è opportuno sottolineare alcuni parametri che dovranno necessariamente essere tenuti in considerazione nello sviluppo delle strategie future per la creazione delle nuove case green. Come anticipato, non si può che essere concordi con l’Ance nel ritenere che lo Stato dovrà fare la sua parte, in primo luogo perché esiste, come ebbe a dire Mario Draghi, un “debito buono” che genera crescita e sviluppo, oltre a diminuire l’impatto ambientale e in secondo luogo perché anche per con il supporto dello Stato gli obiettivi fissati risultano già molto ambiziosi e senza sono semplicemente velleitari.
Per quanto riguarda le strategie edilizie sarà poi essenziale non cadere in trappole ideologiche e mantenere uno spirito pragmatico, confrontando le diverse soluzioni, senza mai perdere di vista la fattibilità delle stesse e ridefinendo le scadenze che non fossero ragionevolmente raggiungibili (come l’addio alle caldaie in pochissimi anni). Al contempo servirà una migliore conoscenza da parte dei committenti delle soluzioni di principali oggi disponibili e non solo in materia impiantistica, ma anche a cominciare dai principi di una nuova architettura organica per la sostenibilità, principi sui quali torneremo presto su queste pagine.