Come sta cambiando il modo di affrontare la salute, la prevenzione e la cura delle malattie grazie alla digitalizzazione e all’intelligenza artificiale?
È questa la domanda che ha dato il via all’evento “I dati e gli algoritmi – La medicina del futuro”, condotto dal vicedirettore del Corriere della Sera Daniele Manca. Una domanda che, dopo la pandemia da Covid-19, è diventata ancora più rilevante. Aprendo nuovi orizzonti per quanto riguarda il tema della ricerca scientifica e della crescita. Ma dando spazio anche a una serie di possibili rischi legati all’uso dei dati e alla privacy.
Un’opportunità per ricerca e crescita
L’8% dei fondi del Pnrr destinati all’Italia, circa 20 miliardi di euro, sono dedicati alla salute. Una parte di questi, in particolare, andrà a finanziare l’obiettivo della salute digitale. Un’espressione che significa «poter accedere alla medicina di base in modi semplici, ma anche poter viaggiare in tutta Europa avendo a disposizione gli stessi servizi del nostro Paese di origine», spiega Roberto Viola, direttore generale per le politiche digitali della Commissione europea (DG Connect).
Non solo. La digitalizzazione ha un impatto importante sulla qualità e l’affidabilità dei dati raccolti in ambito diagnostico. «Grazie all’IA abbiamo osservato un aumento del 54% della diagnostica di potenziali tumori», commenta Paola Pirotta, amministratrice delegata di Medtronic Italia, azienda leader nel mondo per tecnologia, soluzioni e servizi medicali e partner dell’evento. Senza contare le altre possibili ricadute sulla vita dei cittadini, come quelle ricordate da Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’Università Bicocca di Milano: «Nell’ambito del progetto ANTHEM (AdvaNced Technologies for HumancentrEd Medicine), finanziato dal Pnrr, stiamo lavorando a nuovi totem negli ospedali lombardi per rendere più veloce l’accesso alle strutture». Infine lo testimonia, con la sua esperienza diretta, anche il professor Antonino Spinelli: il responsabile chirurgia del colon e del retto dell’IRCCS istituto clinico Humanitas ha effettuato un intervento chirurgico in modalità robotica che, grazie a speciali visori, è stato trasmesso direttamente dalla sala operatoria ad alcuni uditori, che lo hanno seguito in modalità immersiva. «Le tecnologie più avanzate – commenta Spinelli – rendono e renderanno la formazione di nuovi chirurghi più rapida, più efficiente e meno costosa».
Torna sul tema dell’abbattimento dei costi anche Mariangela Amoroso, Country Medical Lead Sanofi, secondo cui ricorrere a digitalizzazione e IA significa «poter fare investimenti più mirati e scoprire più velocemente nuove soluzioni terapeutiche. Le opportunità sono tante anche in campo accademico. Lo ricorda Sandra Gallina, Direttore generale per le politiche digitali della Commissione europea: «L’accesso digitale ai dati rappresenta un’opportunità unica per accelerare la ricerca: sfruttare queste informazioni permette di fornire cure di migliore qualità ai cittadini».
I problemi dei dati: necessità di condivisione e tutela della privacy
Nella ricerca accademica, una delle barriere maggiori è la mancata interoperabilità dei dati. «Il problema – spiega Adriana Maggi, direttore del Centro di Biotecnologie Farmacologiche dell’Università degli Studi di Milano e Coordinatrice di CATCH atMIND – è che ognuno tiene i dati nel proprio laboratorio: ecco perché, con il progetto CATCH atMIND, stiamo mettendo a punto un sistema per condividere i dati tra i ricercatori». Su questo fronte, oltre all’ambito accademico, si stanno muovendo anche le istituzioni. «Come Commissione europea – dice Marco Marsella, Head of the Unit eHealth, Well-Being and Ageing DG Connect EU Commission – stiamo creando un’infrastruttura tecnologica per far accedere tutti gli operatori allo scambio dei dati».
L’Italia è ancora indietro
In Italia bisogna fare i conti con un problema a monte: la mancanza di dati digitalizzati. A questo proposito Chiara Sgarbossa, Head of Digital Health and Life Science Innovation Observatories del Politecnico di Milano, cita due fatti: «Circa un medico specialista su due non usa ancora la cartella sanitaria elettronica e solo il 35% dei cittadini italiani ha usato almeno una volta il fascicolo sanitario elettronico».
Fonte: Corriere della Sera, 18 settembre 2023