L’APE, anticipo pensionistico previsto dal piano di Riforma pensioni del Governo, è uno strumento che pesa sulle tasche dei lavoratori in modo più consistente rispetto alle altre proposte di flessibilità in uscita esaminate in questi anni di dibattito, come quella del presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, o del presidente dell’INPS, Tito Boeri. La valutazione è dell’ufficio parlamentare di bilancio, in un report sul dibattito di Riforma Pensioni in corso che, lo ricordiamo, è al centro di un negoziato Governo – sindacati, e porterà a una norma da inserire in Legge di Stabilità.
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Nella proposta governativa dell’APE (Anticipo Pensionistico) – si legge nel report – la flessibilità verrebbe finanziata con il ricorso a un prestito bancario che, una volta raggiunti i requisiti per la normale uscita per vecchiaia o anzianità, il pensionato ripagherebbe tramite trattenute alla fonte sulla sua pensione; questa opzione implicherebbe abbattimenti significativamente superiori rispetto a quelli delle proposte ”Damiano” (al massimo 2 per cento per anno di anticipo) e “Boeri” (3 per cento all’anno). Il progetto governativo contempla anche l’attivazione di una detrazione fiscale, selettiva nelle condizioni economiche, per sostenere alcune categorie di pensionati nella restituzione del prestito.
La proposta è però conveniente sul fronte dell’impatto sul bilancio pubblico, limitato al peso delle detrazioni che verranno riconosciute alle fasce più deboli di lavoratori. L’ufficio parlamentare di bilancio su questo fornisce dati precisi: con riferimento ai lavoratori dipendenti in senso stretto e ai lavoratori autonomi (esclusi i dipendenti pubblici), se tutti coloro che avessero l’opportunità di sfruttare la flessibilità effettivamente lo facessero, nel 2017, secondo la proposta “Damiano” ci sarebbe una maggiore spesa pubblica per oltre 3 miliardi di euro, crescente sino a raggiungere gli 8 miliardi nel 2024, mentre la flessibilità “Boeri” peserebbe meno sui conti pubblici, da 650 milioni di euro del 2017 a 2,8 miliardi del 2024.
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Non è quantificato l’impatto dell’APE, perché non si conosce il dato fondamentale, ovvero quello sulle detrazioni che verranno applicate. Il meccanismo, però, è tale per cui i lavoratori non coperti dalle detrazioni subiscono un maggior taglio sulla pensione. Occorre ricordare come funziona il meccanismo: il lavoratore che si ritira in anticipo (massimo consentito, tre anni), percepisce un trattamento che poi restituisce in 20 anni di rate trattenute dalla pensione. L’anticipo viene erogato dall’INPS, ma finanziato dalle banche. E’ previsto un meccanismo di detrazione per alleggerire il peso della restituzione, in particolare per le fasce più disagiate.
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Ricordiamo che le misure allo studio prevedono anche altre forme di flessibilità in uscita, per i disoccupati di lunga durata, finanziata dallo stato, e per coloro che vengono espulsi nel corso di crisi aziendali, pagata dalle imprese.
Il report UPB rileva che sono in discussione anche altri strumenti (lavoratori precoci, usurati, con storie contributive ripartite tra più gestioni pensionistiche), e un’ottava salvaguardia esodati. Sottolinea come il coordinamento di questi quattro strumenti costituisca uno degli snodi critici dell’intervento.
Condivide la necessità di arrivare a una Riforma Pensioni con nuove forme di flessibilità in uscita come risposta al rischio di spiazzamento generazionale (crowding-out) dei lavoratori anziani su quelli giovani, per sostenere la produttività del lavoro e assicurare un maggior adattamento delle regole di pensionamento alle esigenze individuali.
Fonte: il report UPB.