“Il sentiment degli Italiani e il nuovo marketing della felicità”. Se ne è discusso al Seminario Annuale GfK. Da alcuni anni, anche importanti studi internazionali (come il World Happiness Report) evidenziano un peggioramento del sentiment degli Italiani: cresce la preoccupazione per il futuro, cala la soddisfazione per tutte le componenti – materiali e non materiali – della vita personale e diminuisce anche la fiducia nei confronti delle istituzioni.
Negli ultimi 20 anni, l’indice di felicità degli italiani è calato di oltre 20 punti, con un trend quasi sempre negativo. Secondo quanto emerge dai dati GfK Sinottica TSSP, il 18% degli italiani è soddisfatto della propria vita, il 15% dichiara di non essere soddisfatto, mentre il restante 67% non è né soddisfatto né insoddisfatto.
Ma cosa impedisce agli Italiani di essere felici? E cosa possono fare in questo contesto le aziende per aiutarli a ritrovare la Felicità? Partendo dai risultati del World Happiness Report – indagine internazionale delle Nazioni Unite che misura la felicità dei cittadini di 155 Paesi – Paolo Anselmi ha evidenziato gli elementi sui quali si basa il pessimismo degli Italiani, che si posizionano al 48° posto della classifica internazionale. “Come si spiega il basso livello di felicità dell’Italia? Il nostro Paese ottiene buoni punteggi su PIL, aspettativa di vita e welfare, mentre risulta nella parte bassa della classifica per quanto riguarda la fiducia nel sistema Paese (a causa principalmente della corruzione), la generosità/solidarietà e le opportunità di vita. Da sottolineare anche come le imprese oggi godano di un livello di fiducia superiore a quello della classe politica. Vi è dunque ampio spazio per strategie aziendali rivolte al benessere degli Italiani come cittadini oltre che come consumatori: opportunità di formazione/lavoro, impegno nella cura dei beni comuni (ambiente, paesaggio, patrimonio artistico e culturale…) e una visione positiva del nostro futuro come Paese”.
“Nutrirsi di felicità” è possibile?. “Il cibo è stato forse la principale risorsa con cui in questi anni di aspettative decrescenti gli Italiani hanno cercato di ricostruire i propri percorsi personali di felicità. – ha spiegato Paolo Salafia – Felicità tradotta non solo in chiave di sapore ma estetica, comunicativa, relazionale, etica, emotiva, identitaria in senso lato. Se la felicità conta e se il cibo è così importante per essere felici, il cibo però non può e non deve diventare una commodity. Le politiche di solo prezzo non impoveriscono solo il valore del brand, ma del prodotto, della categoria e dell’inesauribile ricchezza simbolica – non sempre valorizzata – che ruota attorno al cibo”.
“Denaro e Felicità”, un rapporto mutevole . “In generale – ha spiega Stefano Pironi – l’incertezza economica ha relegato il denaro e il lavoro agli ultimi posti tra i fattori in grado di rendere più felici gli Italiani. Un reddito più elevato è automaticamente sinonimo di maggiore felicità? Solo fino a un certo punto: oltre una certa soglia, infatti, il livello di soddisfazione per la propria vita torna ad abbassarsi. Cosa può fare dunque l’Industry Finanziaria per aiutare le persone a essere più felici? Farsi interprete di una cultura finanziaria positiva e rassicurante, rendere la finanza più semplice e accessibile al grande pubblico, sfruttare le opportunità del digitale senza dimenticarsi dell’importanza del rapporto umano”.
Del ruolo del digitale nella ricerca della felicità ha parlato Edmondo Lucchi, Responsabile New Media di GfK: “Gli strumenti digitali consentono di entrare in contatto con una quantità sterminata di informazioni ed esperienze, spesso gratuite e in grado di amplificare il nostro senso di libertà. Ma basta questo ampliamento delle possibilità di conoscenza per parlare di felicità? In generale, le persone associano l’idea di digitale con valori positivi, ma sono anche consapevoli dei limiti, dei pericoli e delle ombre del digitale. La struttura tipicamente orizzontale del web manca di una visione d’insieme, della capacità di indicare un progetto di futuro collettivo più ampio: forse è questo il limite principale della capacità che ha il digitale di renderci più felici”.
Altri fattori alla base del Marketing della felicità?. “Esistono 5 fondamentali pillars che discriminano tra individui felici e non. – ha spiegato Isabella Cecchini – Chi è felice è decisamente più ricco di convincimenti etici, spirituali e improntati al rispetto delle persone oltre che delle cose. I felici sono anche più attenti a sé, da intendersi come cura di sé, in senso olistico di mente-corpo. Altra variabile determinante per la felicità risulta essere la gestione del tempo, da intendersi come valore assolutamente prioritario per la soddisfazione di sé. Per essere felici occorre inoltre non stare mai fermi, ma progettare in continuazione, in qualsiasi ciclo di vita ci si trovi. Infine, la felicità dipende anche dalle relazioni, dalla loro ricchezza e capacità di non fare mai sentire soli”.
A seguire, Giuseppe Minoia che ha delineato i territori del Marketing della Felicità. “La soddisfazione di sé dipende da più fattori – ha spiegato – da pilastri interni e da occasioni di incontro esterne. Il marketing delle imprese, ovviamente, non può che occuparsi delle condizioni esterne, con l’obiettivo di creare le premesse alla felicità individuale. In che modo? Pensando a ciò che sinora è stato ritenuto non di sua competenza: dalle condizioni ambientali delle città e dei territori all’educazione al benessere, dall’attività fisica alla ginnastica mentale; dalla creazione di occasioni di incontro e scambio relazionale, all’educazione al cambiamento e ai cicli di vita; fornendo indicazioni sul futuro, come realtà prossima possibile, in chiave di potenzialità e investimento, non solo per i giovani; aiutando i segmenti più in affanno, con un welfare delle aziende e delle marche tutto da definire. Il compito non è semplice. Sono necessarie nuove competenze e nuovi ruoli che allarghino il perimetro della Customer Satisfaction.
Dal farmaceutico al food, alla distribuzione alle banche, le imprese dovranno iniziare a chiedersi non solo quale è il Return on Investments delle loro azioni, ma anche qual è il Return on Happiness”.