I lavoratori esodati rientrati nell’ultima salvaguardia che non maturano l’età per la pensione entro fine anno dovranno aspettare cinque mesi in più per l’assegno previdenziale. In pratica, lo scatto di cinque mesi delle aspettative di vita allontana la pensione anche per coloro che rientrano nella tutela. Nella maggior parte dei casi questo non determinerà la perdita del diritto alla salvaguardia ma, in alcuni, potrebbe succedere. E non è chiaro in che modo l’INPS gestirà questo eventuale problema.
Dal 2019 ci vorranno cinque mesi in più per maturare l’età pensionabile. Ci sono una serie di profili inseriti nell’ottava salvaguardia che non matureranno il diritto a pensione in tempo per non far scattare l’adeguamento alle aspettative di vita. Per esempio, i lavoratori in mobilità in base ad accordi sottoscritti entro la fine del 2011, che hanno smesso di lavorare entro il 31 dicembre 2014, e raggiungono il diritto a pensione entro 36 mesi dalla fine del trattamento di disoccupazione.
=> Esodati, Report Ottava Salvaguardia
Ora, per stabilire il momento in cui si raggiunge il diritto alla pensione (comunque, calcolato con le vecchie regole), bisogna aggiungere i cinque mesi di scatti. Quindi, un lavoratore che, per ipotesi, smette di percepire il sussidio nel marzo 2018, e con le vecchie regole matura la pensione nel dicembre del 2020, dovendo aggiungere cinque mesi matura la pensione nel maggio del 2021, quando saranno trascorsi più di 36 mesi dal termine del sussidio.
In realtà, se casi come questo dovessero verificarsi, non è chiaro come si comporterebbe l’INPS. La lavorazione delle domande di salvaguardia è quasi terminata (in base all’ultimo report INPS, aggiornato al novembre 2017, erano ancora giacenti 920 domande). E se un esodato ha visto la propria domanda accolta, pare difficile che poi l’INPS possa tornare indietro non riconoscendo il diritto per effetto del nuovo scatto delle aspettative di vita. In ogni caso, si tratta di un punto su cui si attendono opportuni chiarimenti.