Over50: forza lavoro a rischio di estinzione?

 

 

 

  Nel 2004, in Italia, ogni cento persone con un’età compresa tra i 55 e i 64 anni, ne lavoravano soltanto 31, contro 41 della Francia, 43 della Germania, 57 del Regno Unito e, prima tra le nazioni europee, le oltre 70 persone della Svezia. «Il sottoutilizzo degli ultracinquantenni nel mercato del lavoro – dichiara il Presidente dell’Eurispes, Prof. Gian Maria Fara – rappresenta un nodo problematico di notevole rilevanza. Anzitutto, tale dinamica, collegata ai trend demografici, rischia di creare pericolose ripercussioni sulla sostenibilità dei sistemi previdenziali, già pesantemente oberati nell’attuale congiuntura; in secondo luogo, il fenomeno diviene disfunzionale per lo stesso mercato del lavoro, il quale tende a scaricare sui lavoratori più anziani, liberandosene prematuramente, il costo di crisi e ristrutturazioni aziendali. Si introducono pertanto elementi di rigidità nella domanda che non consentono né di avvalersi della flessibilità nel tempo, né di utilizzare il potenziale di esperienza e di maturità che i lavoratori ultracinquantenni possono garantire. La strettezza della curva dell’occupazione – conclude Fara – rappresenta un elemento moltiplicatore della percezione di precarietà, di per sé già elevata; la discriminazione dei lavoratori ultracinquantenni rischia di acuire un disagio già esistente e di rappresentare – con l’intensificarsi dei fenomeni di invecchiamento – un elemento di diffuso allarme sociale. »

Nuovi scenari occupazionali.

Le dinamiche demografiche disegnano un nuovo scenario.La forbice tra la percentuale di popolazione ultracinquantacinquenne in attività sulla popolazione attiva totale e la percentuale degli anziani (oltre 65 anni) sulla popolazione in età attiva diviene, con il tempo, sempre più ampia. Se nel 2002 – secondo le stime della Commissione Europea – si contavano 17 lavoratori ultra55enni e 25 anziani ogni 100 persone in età attiva, nel 2010, a fronte del progressivo invecchiamento della popolazione, non aumenterà la forbice, ma si eleveranno entrambe le percentuali, passando, rispettivamente, a un 19% e un 27%.

Dal 2015 la differenza tra le percentuali comincerà ad aumentare e raggiungerà i 10 punti; dal 2035 la forbice assumerà un’ampiezza ben più elevata, che modificherà profondamente lo scenario demografico dell’Unione. Interessante è anche constatare come la curva dell’attività di uomini e donne abbia subito profonde trasformazioni nel corso degli ultimi decenni: la parabola relativa ai maschi del 1970 era significativamente più ampia di quanto non si registri nel 2000, con un ingresso nel mercato del lavoro più anticipato e un’uscita più ritardata. Gli uomini del 1970 già a 15-16 anni erano inseriti nel mondo del lavoro e vi rimanevano saldamente fino ai 60 anni e oltre; nel caso del 2000 non solo, è posticipato l’ingresso, ma si osserva una brusca caduta dell’occupazione già intorno ai 55 anni.

Ovviamente diverso appare il discorso relativo alle donne, che nel 2000 conoscono tassi di occupabilità molto più elevati (eccetto, anche in questo caso, per le età più giovani); anche per loro si osserva tuttavia una brusca caduta intorno ai 55 anni e – nell’età intorno ai 60 – i valori del 1970 e del 2000 tendono ad eguagliarsi. L’uscita forzata dal mondo del lavoro.

Nel 29,4% dei casi in Europa si è smesso di lavorare a causa del prepensionamento, nel 27,8% del pensionamento e, a seguire, per ragioni di malattia e/o sopraggiunta disabilità (15,3% del totale) o episodi di licenziamento (poco meno del 12%). Questa tendenza mette in luce le mancanze di un sistema che non è in grado di garantire o creare incentivi finalizzati a scoraggiare l’abbandono prematuro del posto di lavoro, come pure la promozione di interventi di formazione continua e la diffusione di una qualità e accessibilità del lavoro anche per gli anziani, anche attraverso misure di part-time.

Il caso italiano. Un trend di recupero.
Il nostro Paese si configura come una delle nazioni che maggiormente tendono ad espellere i meno giovani dai circuiti professionali, senza garantire idonee opportunità di reingresso. Nel 2004, infatti, in Italia ogni cento persone con un’età compresa tra i 55 e i 64 anni, ne lavorano soltanto 31, contro 41 della Francia, 43 della Germania, 57 del Regno Unito e, prima tra le nazioni europee, le oltre 70 persone della Svezia. Nonostante questo forte ritardo, a partire dal 1999, nel nostro Paese si registra una contrazione dei flussi di uscita dal mercato del lavoro della popolazione in età matura. In particolare, tra il 2002 e il 2003, pur non osservando un significativo aumento della popolazione complessiva in età 55-64, si registra un notevole +9,8 tra le forze di lavoro, contro il +4,6 relativo alla fascia 35-54. Similmente, aumentano gli occupati nella fascia di età più elevata (essi raggiungono quasi un +11%, una quota più che doppia rispetto alla fascia 35-54) e, tra i 55-64enni, diminuiscono sensibilmente, nel medesimo periodo, i disoccupati (-14,1%). Il ruolo delle donne.

L’aumento dell’occupazione nella fascia di età 55-64 riguarda in modo sensibilmente superiore le donne; in tal caso, i valori percentuali registrati per gli uomini vengono quadruplicati: sono proprio le donne infatti che, a un’età matura – probabilmente liberate da pressanti responsabilità familiari –, tendono a riaffacciarsi al mercato del lavoro trovando, in molti casi, strumenti idonei a un proficuo inserimento. Anche l’andamento trimestrale degli occupati della medesima fascia di età conferma le differenze tra i sessi: ponendo a 100 il dato relativo all’ottobre 2000, si può constatare come il trend relativo alle donne conosca un andamento di crescita più vistoso di quanto non accada per gli uomini. Il “possibile” part-time. La relazione tra diffusione del part-time e facilità di reinserimento nel mercato del lavoro di donne e anziani, sebbene non direttamente legata da un meccanismo causa-effetto, è testimoniata da molteplici esperienze. Un confronto con gli altri paesi dell’Unione mostra come l’Italia conosca una diffusione ancora limitata di questo istituto: oltre due punti percentuali in meno rispetto alla media europea per gli uomini e oltre sei punti per quanto concerne le donne. Soltanto tra i 30-39enni si osserva un utilizzo più elevato del part-time tra gli occupati: si calcola per questi lavoratori una percentuale pari al 67,8% contro il 64% degli ultracinquantenni. Over 50: ancora occupati.

La presenza di lavoratori tra i 60 e i 74 anni resta rilevante, oltre che nella Pubblica Amministrazione (25,2%), in agricoltura (14,6%) e nel commercio (21%). Tra gli anziani prevalgono i lavoratori autonomi (61,3%) contro i dipendenti (38,7%). Il tasso di occupazione appare connesso inoltre al livello di istruzione: tra i sessantenni una persona su due in possesso della laurea è ancora occupata, contro una su tre diplomata e una su sei con la licenza della scuola dell’obbligo. (Fonte Eurispes)

 

 

Vitalba Paesano: Interessata al web fin dal 1996, quando di Internet si occupavano solo gli ingegneri, sostiene da sempre l'importanza dell'interattività come misura di qualità di vita per il mondo senior. Per questo ha fondato www.grey-panthers.it, testata giornalistica online, ad aggiornamento quotidiano, dove tutto, articoli, rubriche, informazione, è a misura di over50

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  • Buona sera.

    Va bene l'analisi fatta.

    Io ho smesso di lavorare a 56 anni e dopo un breve periodo di mobilità sono andato in pensione.

    Io desideravo però rimanere sul posto di lavoro sino a 60 anni.

    L'insistenza della Direzione delle risorse umane e quella del mio capo, mi hanno spinto ad andarmene prima del tempo.

    Mi hanno seguito altri colleghi. Non sono stato il primo e non sarò l'ultimo,
    purtroppo.

    Io ho una specializzazione in informatica di alto profilo, così come tanti altri miei colleghi che prematuramente hanno lasciato l'azienda, diplomati e laureati, tutti.

    No è stata per me "proprio" una libera scelta perchè il lavoro mi piaceva, gli obiettivi li raggiungevo e oltretutto insegnavo ai giovani neoassunti i sistemi operativi open e altro oltre a seguirli in alcuni progetti presso i ns Clienti.

    Anni di esperienza lavorativa acquisita sul campo, decine di corsi all'estero, migliaia d'interventi on line e onsite, rapporti diretti con Clienti e altro, sono finiti prima del tempo, ovvero ancor prima di aver maturato i requisiti per andare in pensione e soprattutto contro la mia volontà.

    La pensione è un umano obiettivo dopo una vita di lavoro per una società civile e democratica, però non a 57 anni, è un pò presto.

    Io potevo (e posso) dare ancora tanto, insegnare i giovani a lavorare bene, ad inserirsi nell'informatica con basi solide, con sicurezza di apprendimento però gli obiettivi aziendali erano altri: riduzione dei costi, ovvero riduzione del personale (qualificato o meno poco importa).

    Il discorso è lungo e complesso però io so quanto valore ha l'esperienza e
    quanto costa ad una azienda preparare un allievo sino a portarlo negli anni ai massimi livelli professionali nel campo dell'informatica o in altri.

    Penso sia necessario una revisione dei conti a tutti i livelli e puntare sulla professionalità delle persone e suilla qualità dei servizi offerti ai Clienti.

    Cordialità: R. Favero.

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