All’inizio degli anni Duemila la figura del social media manager, lo specialista nella gestione delle pagine Facebook o Instagram, non compariva nei Cv. Chi dieci anni fa ha investito in un corso di formazione e ha sperimentato il linguaggio dei social network oggi può dirsi un professionista. C’è un dato sul quale è necessario iniziare a ragionare da subito ed è quello fornito dallo studio del World Economic Forum: il 65% dei bambini che oggi vanno a scuola, una volta diplomati o laureati, svolgeranno dei lavori che ad oggi ancora non esistono, ma che possiamo provare ad immaginare.
Il mercato del lavoro è in rapida trasformazione, la parola chiave è certamente “flessibilità nelle forme contrattuali”, ma anche nelle mansioni si sta realizzando un enorme turn over di competenze a livello mondiale. Secondo il forum di Davos, entro il 2020 si prevede la perdita di 7.1 milioni di posti di lavoro, la maggior parte nei ruoli amministrativi. Contemporaneamente però ci sarà anche un incremento fino a 2 milioni di posti di lavoro nelle professioni del settore delle tecnologie, della matematica e dell’ingegneria. Tra i posti perduti e quelli guadagnati, resta un “buco” di 5,1 milioni di posti di lavoro.
La macchina sostituirà l’uomo nel lavoro
Si stima che entro il 2033, i settori in cui la manodopera rischia più di essere sostituita dalle macchine riguardano l’agricoltura e la pesca, la manifattura e in maniera importante il commercio. Nonostante nelle province italiane si continui a investire nella costruzione di grossi centri commerciali, la tendenza sempre più diffusa è quella dell’acquisto su internet. In prospettiva ci saranno sempre meno commessi non specializzati e più specialisti dell’e-commerce. I settori in cui invece, nonostante tutto, continuerà a rimanere improbabile la sostituzione uomo-macchina, sono quelli dell’istruzione e della salute. Le cure sanitarie, anche se sempre più coadiuvate dalle apparecchiature biomediche, non potranno mai fare a meno di una presenza umana capace di assistere e scegliere quali medicine somministrare al paziente. Anche nella scuola del futuro ci saranno sempre gli insegnanti alla lavagna nelle classi. Impensabile allo stesso modo poter sostituire uno psicologo capace di ascoltare in terapia.
In Italia, oggi, tra le cause della disoccupazione giovanile c’è la lunga coda della crisi economica, il precariato, la mancanza di un sistema meritocratico. Una parte della responsabilità va cercata anche nei ministri della Pubblica istruzione degli anni ’80, che non si sono impegnati a capire quali prospettive avrebbero dovuto avere gli studenti nel mondo di oggi, investendo di conseguenza sulla loro formazione. Nella lettura globale delle possibili evoluzioni future del mercato del lavoro, più alto sarà il livello di istruzione e specializzazione in un settore, maggiore la possibilità di avere lavoro. Allora cosa stiamo facendo oggi per preparare le prossime generazioni al mondo di domani?
I mestieri del futuro
Tre processi inarrestabili influiranno più di altri: la tecnologia e internet, l’invecchiamento della popolazione, il riscaldamento globale. Il commercio continuerà a spostarsi fino ad assestarsi sull’e-commerce, ci saranno sempre meno negozi di vicinato e più store on line. Di conseguenza sempre più aziende investiranno sulla pubblicità e sulla gestione del marchio online, dall’immagine alla vendita. Manager dell’e-commerce, seo manager sono già oggi delle figure professionali più che reali.
I big data
Viviamo in una società informatizzata, dai telefoni cellulari ai computer degli uffici pubblici: ogni minuto vengono creati, immagazzinati e condivisi milioni di dati. E spesso si tratta anche di dati sensibili. È utile dunque formare dei data scientist, ovvero persone capaci di gestire tutte queste informazioni. Ma cosa ha fatto negli ultimi anni il ministero dell’Istruzione e della Ricerca per creare dei corsi di studio che diano concrete possibilità di formazione ai giovani in Italia nei Big Data? Secondo un rapporto promosso dal Miur, non mancano i corsi di specializzazione o master post laurea, ma nelle università pubbliche, ad oggi, esistono solo due lauree triennali in data science e tre corsi di laurea magistrale. Manca il rapporto del 2017.
Coding e programmazione
Già nella primissima infanzia i bambini imparano a usare il touch screen e i tablet, ma la vera sfida è però rendere gli adulti di domani coscienti degli strumenti che maneggiano e capaci di dominarli, non limitandosi a subirne gli effetti del click. È importante dunque insegnare dalle scuole elementari gli elementi di emancipazione dalla tecnologia attraverso il linguaggio di programmazione (coding). Saper programmare vuol dire essere in grado di ordinare ad una macchina come svolgere un dato compito. Il ministero dell’Istruzione, nella riforma della Buona Scuola ha inserito, nel 2014, proprio il progetto “Programma il futuro” con l’obiettivo di portare questa materia nelle classi, e arrivare a coinvolgere almeno il 40% delle scuole. Leggendo i risultati del report si legge che in media, nel corso di un anno, gli studenti svolgono appena 13 ore di lezione, e solo grazie ai docenti volenterosi .
Il futuro del pianeta
Il riscaldamento globale ci costringe a un’economia a basse emissioni. La trasformazione in un’economia più verde, che sappia sostenere l’adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici, genererà nuovi posti di lavoro aggiuntivi in tutti i settori economici. I lavori verdi (green jobs) sono quelli che si impegnano per minimizzare ogni forma di spreco e inquinamento, per ridurre l’impatto ambientale delle imprese migliorandone l’efficienza energetica, per un uso efficiente delle materie prime come l’acqua. Secondo uno studio Ocse, sarà necessario trovare soluzioni alla gestione e al riciclaggio dei rifiuti e alla sostenibilità dei trasporti. Ma sarà anche necessaria un’industria mineraria ed estrattiva con reti intelligenti e una nuova tecnologia nella costruzione e gestione degli edifici.
Cosa stiamo facendo oggi per prepararci al futuro
In Italia il 30% dei cittadini non ha competenze digitali. E nelle scuole c’è solo un computer ogni 8 alunni. Investiamo in ricerca e sviluppo l’1,3% del Pil, rispetto alla media europea che è del 2% . Una percentuale decisamente bassa soprattutto se paragonata alla Germania dove si investe il 2,9% del Prodotto interno lordo. Inoltre, fra la popolazione dai 25 ai 64 anni, solo l’8,3% è coinvolto in programmi di formazione. La media europea è del 10,8%.
Guardando alla formazione scolastica e alla ricerca, nella legge finanziaria approvata nel dicembre 2017, è previsto un finanziamento fino a 30milioni di euro per gli istituti tecnici superiori (Its) per l’incremento degli strumenti tecnologici legati allo sviluppo dell’industria 4.0. Si prevede l’istituzione di un Fondo (fino a 250 milioni annui dal 2019) per finanziare i progetti proposti dal pubblico e dal privato per lo sviluppo del capitale immateriale. Questo è il massimo che il Parlamento è riuscito a mettere in campo come investimento per i prossimi anni. Resta aperto il tema della formazione nelle scuole, ancora troppo vecchie nell’organizzazione, mentalità e reclutamento, per poter dare ai ragazzi gli strumenti che servono a prepararli al futuro. Un tema che non figura nei programmi dei partiti durante questa campagna elettorale.
(Fonte: “Il lavoro del futuro: cosa conviene studiare” di Milena Gabanelli, Corriere della Sera 7 febbraio 2018)