La certezza è il contributivo per tutti, da estendere anche a parlamentari e alte cariche dello Stato. L’obiettivo è l’armonizzazione di tutte le aliquote contributive con un riallineamento verso il basso, in prima battuta al 30-31% per le assunzioni di giovani e donne e a regime al 28-29% per tutto il mondo del lavoro. Il nodo da sciogliere: il collocamento a 62 o, più probabilmente, a 63 anni di età della soglia minima di pensionamento su cui costruire il nuovo sistema flessibile di uscite per superare i trattamenti di anzianità e favorire un rapido innalzamento dell’età pensionabile media. Il tutto accompagnato dal rafforzamento della previdenza integrativa e dal riassetto degli enti previdenziali con la nascita del super-Inps. Il piano del Governo Monti per riformare la previdenza non è ancora nero su bianco, ma il solco su cui dovrebbe muoversi il neo-ministro Elsa Fornero sembra già tracciato. Un punto fermo nel piano che il ministro Fornero metterà a punto nelle prossime ore è rappresentato dall’adozione a tutto campo del metodo contributivo nella forma pro rata dal 2012. E con tutta probabilità il Governo premerà sul Parlamento affinché adotti, pur nell’ambito della sua autonomia, anche per i vitalizi di deputati e senatori il contributivo, che dovrebbe essere esteso a tutte le alte cariche dello Stato. Resta da capire se il contributivo avrà effetto retroattivo o se, magari, sarà usato nella forma ‘pura’ (quindi non pro-rata) in funzione di disincentivo per chi ‘esce’ con meno di 65 anni. E in questa direzione già vanno alcune proposte sostanzialmente bipartisan. L’altro punto fermo è il superamento delle anzianità. Considerando le proposte in campo, la strada più percorribile sembra essere quella di ricorrere a un sistema flessibile di uscite con un minimo di 62-63 anni fino a un massimo di 67-70 anni, disincentivando i pensionamenti con meno di 65 anni e incentivando quelli con più di 66 anni. Due i disincentivi possibili: l’adozione del contributivo puro o un meccanismo di penalizzazioni, come quello previsto dall’ultima proposta Baretta-Damiano (forbice 62-70 anni): 3% in meno con 64 anni, 6% con 63 e 9% con 62 anni. Uno dei nodi è proprio quello dei 62 anni. Il governo sembra puntare a far salire la soglia minima a 63 anni ma per realizzare questa operazione dovrebbe, anche accelerando il sistema delle quote, ricorrere a uno ‘scalino’ o a un ‘mini-scalone’ visto che per il prossimo anno è ancora prevista quota 96 (61 anni di età e 35 di contributi o 60+36). In ogni caso il sistema flessibile consentirebbe di accelerare anche il percorso per alzare la soglia di vecchiaia lavoratrici private a 67 anni (oggi fissata nel 2026). Poche chance sembra invece avere l’eventuale approdo a quota 100, ipotizzato nei mesi scorsi, che coinvolgerebbe anche i pensionamenti con il solo canale contributivo dei 40 anni di contribuzione. Le risorse che saranno recuperate con i nuovi interventi sulla previdenza dovrebbero, in gran parte, essere usate per ridurre il peso contributivo su lavoratori e imprese, a cominciare dalle assunzioni di giovani e donne per le quali le aliquote potrebbero scendere di 2-3 punti dal 33% al 31-30 per cento. Il Governo è orientato ad armonizzare tutte le aliquote contributive (oggi si va da un minimo dall’8,6% per i parlamentari a un massimo del 33% per i lavoratori dipendenti) riallineandole poi verso il basso possibilmente, a regime, a quota 28-29 per cento.
(Da: Il Sole 24 Ore)