Bail-in e sicurezza bancaria: parliamone seriamente, di Paolo Mottura

Tutti noi ci aspettiamo che la moneta che diamo o abbiamo dato alla banca in varia forma (versamento sui nostri depositi o acquisto di obbligazioni bancarie) mantenga sempre il suo valore e ci venga interamente restituita a richiesta e a tempo debito. In altre parole, confidiamo che la banca sia sempre in grado di rimborsare il credito che le abbiamo fatto. Questa è un’aspettativa fondata non solo sulla fiducia, ma anche sull’esperienza poiché, grosso modo negli ultimi settant’anni, non si è mai verificata una situazione di insolvenza della banca che abbia recato danno ai suoi creditori, depositanti e obbligazionisti ordinari. Perché abbiamo ora meno fiducia nelle banche? Tale repentina e significativa diffidenza ha reale fondamento? Per rispondere a questi essenziali quesiti occorre fare qualche approfondimento.

   A prescindere dalle situazioni in cui la banca si è avventurata, con finalità di profitto e non è certo il caso delle banche italiane, nel mondo esoterico della finanza sofisticata, la banca è essenzialmente un intermediario che fa credito finanziandosi mediante assunzione di debiti. La corretta ed equilibrata gestione della banca si fonda su due presupposti: che essa abbia sempre liquidità sufficiente per effettuare i pagamenti richiesti e che il valore monetario corrente dei suoi investimenti (prestiti e titoli) sia sempre superiore al valore nominale dei suoi debiti (i nostri crediti). In breve: la banca deve essere sempre “liquida e solvibile”. E ciò corrisponde alla realtà osservata, in condizioni di corretta gestione e di normalità ambientale. Lo sappiamo, ma occorre tenere sempre a mente il concetto che il valore dei nostri crediti verso la banca dipende comunque dal valore degli investimenti che questa ha fatto con essi. Diversamente saremmo vittime di una pericolosa illusione finanziaria, quella di credere che i debiti della banca siano sempre esenti da qualsiasi rischio. Anche la “moneta bancaria” che usiamo ogni giorno comporta una certo, pur piccolo, rischio.

   Da molto tempo, e ancor più oggi, le Autorità di controllo dell’attività bancaria impongono che il banchiere rispetti regole di comportamento coerenti con il principio fondamentale della “sana e prudente gestione”, cioè che la banca abbia sempre capitale proprio adeguato per assorbire i rischi caratteristici dei suoi investimenti, così rendendo i suoi creditori immuni dal suo rischio di gestione. Tutto bene, quindi, a due condizioni: che queste regole siano sufficienti a tutelare la solvibilità della banca e che esse vengano costantemente rispettate dal banchiere. Possiamo serenamente ritenere che entrambe le condizioni sussistano? Qui occorre raffinare il ragionamento.

   Le Autorità di controllo dispongono di robusti ed efficaci poteri di supervisione delle banche e di sanzione dei comportamenti non conformi alle regole. Tuttavia il banchiere esercita – in contesti di mercato competitivo – un’attività di impresa privata finalizzata a produrre profitto: esso assume rischi remunerativi con prospettiva di guadagno per remunerare adeguatamente il capitale degli azionisti. La gestione della banca comporta comunque rischio di impresa: ciò che importa è che il banchiere valuti correttamente, e dunque “calcoli”, i rischi che assume in relazione alla sua capacità di sostenerli, senza coinvolgere i suoi creditori. Può tuttavia accadere che i rischi già assunti dal banchiere aumentino per cause esterne, estranee alle scelte di gestione del banchiere stesso. Tipico al riguardo è il caso dell’aumento delle perdite su crediti (insolvenze dei clienti finanziati) indotto da una fase ciclica recessiva dell’economia reale, più lunga e più profonda di quanto non si fosse previsto. Tanto per aggiungere un motivo di preoccupazione: questa è la situazione attuale di una parte significativa delle banche italiane. La banca riflette necessariamente lo stato dell’economia reale. La banca viene a trovarsi in una situazione critica se e quando le sue riserve di liquidità e/o il suo patrimonio (capitale proprio) si rivelano inadeguati. Se il banchiere non è più in grado di sostenere in proprio i rischi della sua gestione, esso necessariamente ne trasferisce una parte ai suoi creditori. La banca può fallire con danno dei suoi finanziatori. Le due condizioni di cui si è detto non sono più rispettate. Tuttavia ciò non implica necessariamente che ex ante le Autorità abbiano stabilito regole insufficienti o che il banchiere non abbia rispettato le regole vigenti o che esso abbia consapevolmente assunto rischi superiori allo loro soglia di sostenibilità. E’ semplicemente accaduto che ex post, e per fatti esogeni, quei rischi hanno superato quella soglia. E si noti che la situazione di crisi della banca non è facilmente reversibile ex post, poiché la banca in crisi ha grandi difficoltà ad ottenere nuova liquidità e nuovo capitale proprio nella misura necessaria per ricostituire la sua situazione di equilibrio.

   In seguito alle recenti ed ultime esperienze (2008 e 2009) di salvataggio pubblico delle banche in crisi, i Governi hanno assunto la decisione politica (a) che non si dovesse più impiegare denaro pubblico – quello dei privati cittadini contribuenti – per salvare le banche e neppure trasformare debito bancario in debito pubblico, (b) che la probabilità di fallimento della banca dovessero essere drasticamente ridotte, (c) che i banchiere non dovessero più fare opportunistico assegnamento sulla “garanzia esterna implicita” dell’ intervento pubblico a tutela, in ultima istanza, dei creditori delle banche.

   Per logica conseguenza le Autorità di controllo – dal 2010 – hanno da un lato imposto alle banche regole più stringenti – più elevati requisiti patrimoniali e di liquidità, correlati a stime di rischio più prudenziali – per diminuire la probabilità di crisi bancarie e dall’altro lato introdotto nuove modalità rigorosamente private di ordinata risoluzione delle crisi bancarie, auspicabilmente rare, prevedendo pure che le perdite e/o la ricapitalizzazione della banca in crisi possano essere messe a carico dei creditori (obbligazionisti ordinari e depositanti) della stessa banca secondo la procedura nota come bail-in, in vigore dall’inizio di quest’anno. L’approccio attuale delle Autorità è perciò assai più prudenziale e si avvale di strumenti più efficaci sia di prevenzione sia di risoluzione delle crisi.

Dunque le “regole del gioco” sono radicalmente cambiate sia per i banchiere (in via permanente) sia per i creditori della banca (in via eccezionale). Questi ultimi si chiedono comunque, giustamente, se possano continuare a riporre fiducia nella propria banca. Credo che la risposta non possa essere allarmante e che in via generale i creditori delle banche non siano ora esposti a maggiore rischio e credo, viceversa, che la condizione psicologica soggettiva di insicurezza e di timore debba fare spazio a una visione più equilibrata e a una percezione responsabilmente consapevole.

Grazie ai nuovi coefficienti di liquidità e di patrimonializzazione le banche diventeranno più robuste e le crisi bancarie più rare. Le Autorità esercitano poteri di controllo e di supervisione più pervasivi, frequenti ed articolati. Inoltre va ricordato che il rischio del creditore della banca – nella fattispecie del depositante, ma non in quella del sottoscrittore di obbligazioni bancarie – è coperto fino a 100.000 euro dalla cosiddetta “garanzia dei depositi”, sostenuta pro-quota da tutte le banche appartenenti al singolo sistema nazionale. Ed è importante aggiungere che tutto quanto detto non riguarda i “depositi di titoli in custodia e amministrazione” perché questi non sono debiti della banca, ma valori che la banca custodisce e amministra in nome e per conto del cliente, che ne è proprietario, e non li utilizza per le proprie attività. Al riguardo la banca ha esclusivamente un obbligo di riconsegnare al cliente i suoi titoli (non il loro valore), quando questi ne facesse richiesta. La precisazione è utile per sgombrare il campo da equivoci di sorta.

Per concludere è interessante osservare che le stesse Autorità di controllo hanno chiarito che il rischio di bail-in deve essere inteso dal creditore della banca come avvertimento a rendersi responsabilmente consapevole e vigilante dello stato di “sana e prudente gestione” della sua specifica banca. È’ certamente corretto chiedere che il creditore si faccia carico di un responsabilità di valutazione, informandosi adeguatamente Tuttavia questa “devoluzione di responsabilità” appare astratta e irrealistica poiché essa presuppone che il creditore possa percepire e conoscere lo stato di crisi della sua banca ancor prima delle Autorità preposte al controllo e dotate di capacità di informazione e di valutazione assai maggiori e più tempestive. Infatti non si comprende con quali modalità e criteri, oggettivi ed efficaci, il soggetto interessato potrebbe correttamente valutare e selezionare la banca a cui “fare credito”, in particolare per un tempo non breve, come nel caso di sottoscrizione di obbligazioni bancarie. La valutazione del creditore non può che rimandare a quella dell’Autorità di controllo-supervisione.

Paolo Mottura                                                                     

Professore emerito Università Bocconi Milano

23 marzo 2016

 

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